Mariafrancesca Venturo [INTERVISTA/19]
«Mi mettono tristezza, sai? Non saprei dirti il perchè. Ma se non altro per una volta puoi vestirti elegante. Sarannodue anni che ho questo vestito nell’armadio e non vedevo l’ora di tirarlo fuori. Dici che è troppo? Forse sì, mache ci importa? Io sono contenta di indossarlo, non troviche mi stia un incanto? Magari mi porta fortuna e mi fatrovare un fidanzato. Se aspetto l’occasione giusta finisceche non lo indosso più. Mia nonna diceva: le occasionite le devi inventare. Cara mia, le nonne sanno sempre dite le devi inventare. Cara mia, le nonne sanno sempre dicosa parlano quando parlano. »
Buongiorno Mariafrancesca, grazie per esser riuscita a ritagliarti del tempo per noi.
Ieri è uscito il tuo nuovo libro, come ti senti?
Buongiorno a voi, scrivere un romanzo e vederlo pubblicato da una grande casa editrice come Longanesi è un gran privilegio e sicuramente la gioia e l’attesa sono alte ma dal momento che lo vedi sugli scaffali della libreria capisci che devi lasciarlo andare, che non è più un lavoro solo tuo e di chi con te ci ha lavorato, tutto quello che accadrà a partire da adesso è un compito che spetta giustamente ai lettori. Sono molto curiosa di scoprire come verrà accolto e quali e quante interpretazioni se ne faranno. Il lavoro creativo non si fa mai da soli.
Dopo tanti lavori che hai fatto, come mai hai deciso di diventare insegnante? Soprattutto, quanto è precaria come vita?
Io sono nata in una famiglia di insegnanti: mia madre, mio padre, le mie nonne, gran parte delle mie zie sono state insegnanti e forse un certo condizionamento c’è stato.
Però una certa curiosità è rimasta. Mi sono sempre chiesta: come ho fatto ad imparare? Come sono riuscita ad ottenere i miei risultati? Mi rendo conto che il contributo di alcuni insegnanti nella mia vita sia stato fondamentali.
La scuola offre a tutti la grande possibilità di mettersi in gioco, indagare i propri talenti e di conoscere il mondo attraverso di essi e a saperla sfruttare fino in fondo può essere un’esperienza meravigliosa.
Se poi hai la fortuna di incontrare insegnanti speciali come è capitato a me e per speciali intendo persone con una particolare capacità di ascolto, ci si rende facilmente conto di quanto sia importante questo ruolo nella vita di una persona.
Provengo da una famiglia numerosa e per avere un po’ di autonomia ho sempre lavorato: ho cominciato dal teatro e sono arrivata a scuola.
Ora sono una maestra di ruolo ma la vita da precaria con il telefono in mano pronta ad aspettare la chiamata di una scuola è durata molti anni.
Anche tu, come Carolina, la mattina ti svegli presto per poterti rendere impeccabile?
Certamente. Arrivare a scuola con un aspetto gradevole anche se nella sua semplicità, lo considero una forma di rispetto nei confronti di chi lavora insieme a me a cominciare dalle bambine e dai bambini.
Come ti è venuta l’idea per questo libro?
L’idea del libro è arrivata quando ero ancora una maestra supplente. Ho vissuto sulla mia pelle le conseguenze della burocrazia fatta di decreti, punteggi e calendari e ho conosciuto tante colleghe e colleghi pronti a mille sacrifici pur di lavorare a scuola. Capita spesso che il contratto a tempo indeterminato diventi l’ultima delle preoccupazioni quando sei coinvolto nelle storie delle bambine e dei bambini e la voglia di sentirsi d’aiuto sostituisce in molti casi l’ansia per il traguardo personale, almeno fino a quando non suona l’ultima campanella dell’anno. Credo che raccontare questa storia, anche attraverso un romanzo, possa avere la sua importanza.
Cosa vorresti trasmettere al lettore?
Penso che quando la vita ci sfida, che lo abbiamo scelto oppure no, è importante andare avanti pensando a una possibilità di crescita, cercando di perfezionare il passo un po’ alla volta come si fa quando si cammina in salita, correre spediti verso la meta senza andare in profondità non porta quasi mai a grandi risultati.
La protagonista del romanzo, Carolina, inizialmente cerca di non farsi coinvolgere dalle storie dei suoi alunni, anzi, all’inizio fa di tutto per non affezionarsi troppo, per paura di soffrire, ma così perde una parte molto importante del suo lavoro, quella che collega la sua scelta lavorativa alle proprie responsabilità, un gancio importantissimo fatto di motivazione e passione senza il quale un insegnante è inutile.
Nelle tue classi, cerchi di far leggere i ragazzi con qualcosa di attuale? O preferisci attenerti ai classici?
Generalmente non cerco di far leggere nulla. Il mio obiettivo è far si che i bambini si avvicinino autonomamente alle letture che più gli assomigliano e per farlo nel modo migliore è indispensabile porsi in ascolto.
In classe facciamo in modo di avere scaffali ben forniti di tutti i generi di libri, dalle fiabe alle biografie, dai testi scientifici ai romanzi fino ai più importanti dizionari e con le mie colleghe cerchiamo di alimentare curiosità, invitiamo scrittori in classe, organizziamo visite nelle biblioteche e nelle librerie di quartiere, facciamo tante domande e affrontiamo i temi più vari per capire dove i bambini vadano a cercare le risposte.
La libertà di scelta nasce prima di tutto dalla conoscenza e dal rispetto.
Poi amo le letture ad alta voce e spesso in classe leggo. Lo consideriamo un bel regalo e lo faccio non per convincere i bambini che il libro che ho scelto io sia per forza bello ma per mostrargli la mia voglia di leggere, la mia personale passione per il libri e le storie.
Cosa ne pensi della lettura digitale?
Credo, come tanti, che ci siano pro e contro. Da un lato il libro digitale ci consente di risparmiare carta e di portare con noi, in un unico dispositivo, una gran quantità di testi ma dall’altra ci fa perdere il contatto con la sua consistenza fatta di pagine, inchiostro, profumo, una consistenza che ci ricorda una certa incorruttibilità nel tempo. Lo hai letto, forse dopo un po’ lo dimentichi, ma lui rimane lì, in attesa di essere sfogliato un’altra volta, a portata di mano come un pezzo di memoria indelebile con le sue pagine fruscianti che puoi toccare tutte in una volta.
L’e-book mi dà l’idea che possa svanire improvvisamente, una sensazione di precarietà che non so decifrare.
Insomma, ancora non sono riuscita a leggere un libro digitale.
Stai già pensando ad un nuovo libro o preferisci goderti ancora per un po’ questo?
Sto prendendo appunti, un’idea c’è.