Romano De Marco [INCONTRO/17]

by | Mar 7, 2017 | 2017, Eventi

Il 2017 è pieno di occasioni. 

Siamo solo a Febbraio e posso dire di aver già segnato sull’agenda tutta una serie di incontri e sto fremendo come una bambina alla notte di Natale! 

L’ultimo giorno di Gennaio, ho avuto la possibilità di andare a conoscere Romano De Marco visto che era uscito da poco il suo nuovo libro. 

L’uomo di casa è stata una lettura veramente interessante e come vi ho detto nella recensione, sono rimasta molto sorpresa dal finale!

Comunque, l’incontro è stato stimolante e molto divertente. 

Vi riporto qui alcune delle domande che abbiamo fatto nel corso della chiacchierata. 

 

 

Al giorno d’oggi sono sempre meno le cose che crediamo di non sapere delle persone, soprattutto da quando tutti condividono tutto sui social. Il fatto di scoprire che la realtà è diversa da come ci appare è rimasta forse l’unica grande paura di oggi, più ancora della paura del mostro?

In effetti, più della paura dell’assassino, a me interessava appunto la paura dell’ignoto, dello scoprire cose che non avremmo mai immaginato del nostro quotidiano e di chi ci vive accanto. Se avete visto l’anno scorso il film “Perfetti sconosciuti” ricorderete che la frase di lancio era “Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta”. Il fatto della condivisione sui social è un falso: i social in realtà aiutano a nascondere, a creare un’identità segreta, ad apparire diversi.Io non volevo raccontare la costruzione di un’identità attraverso i social perché l’hanno già fatto in tanti. Sandra, la mia protagonista, le cose le scopre sul campo, muovendosi da casa. Ancora più del dolore per la perdita del marito la sua sofferenza deriva dalla paura di non riuscire ad avere delel risposte, di non scoprire mai la verità sul marito.

Com’è nata l’idea di questo romanzo?

L’idea si è costruita un po’ alla volta. Prima di tutto è nata la voglia di fare qualcosa di diverso. Io vado tutti gli anni in America, faccio base da mia sorella e poi vado in giro. Amo così tanto quella cittadina che mi sono chiesto se non sarebbe stato bello ambientare una storia lì. La coppia di vicini che c’è nel romanzo, Elisabeth e Jeff, esiste veramente: sono proprio come li ho descritti e aspettavano con molta curiosità l’uscita del libro. 
Sono partito dalla situazione idilliaca di una coppia benestante, in cui però accade qualcosa che va a rompere questa idea di serenità. All’inizio la storia era un po’ diversa, senza la parte che si svolge trentacinque anni prima, che è venuta dopo. 
Inizialmente, pensando alla difficoltà di raccontare un personaggio femminile, avevo chiesto a Marilù Oliva di scriverlo a quattro mani. Pensavo che lei avrebbe potuto scrivere le parti femminili in prima persona, e io tutto il resto. Marilù però si è tirata indietro dicendo che l’idea era mia, e adesso penso che sia stato meglio così. Mi ha comunque fatto notare diverse cose che non andavano. 
Non racconto mai fatti realmente accaduti per non turbare la sensibilità dei parenti delle vittime o di eventuali superstiti, di chi ha subito dei crimini, quindi dovevo inventarmi il cold case del secolo e ho pensato che non c’è nulla di più odioso dei crimini contro i bambini. 
La cosa drammatica è che quando il romanzo era già finito, nel 2015, è uscita una notizia di cronaca simile a quello che io avevo scritto: in Baviera si era svolta una vicenda del genere, per cui è vero che spesso la realtà supera la fantasia. 
Invece nel romanzo che sto scrivendo adesso mi sto ispirando a un fatto di cronaca che mi ha colpito molto, la vicenda di Fortuna, la bambina di Napoli seviziata e poi uccisa: per fortuna siamo ancora capaci di restare sconvolti.

Per uno scrittore uomo, non è facile vestire i panni di un personaggio femminile in modo convincente. Come hai lavorato su questo aspetto?

Dalla notte dei tempi gli uomini cercano di entrare nella psicologia femminile e non ci riescono, per cui diciamo che è stato un lavoro abbastanza impegnativo. Mi sono affidato a un gruppo di lettura tutto al femminile di Bologna, composto da quindici donne, presieduto da un’attivista femminista, Samantha P., con cui mi ha messo in contatto la mia amica scrittrice M. Oliva, e la prima stesura del romanzo l’ho fatta leggere a loro. 
Inizialmente il marito di Sandra moriva in un’altra maniera, in una finta rapina, però lei scopriva solo alla fine che era finta, per cui non restava delusa dalla morte dell’uomo. Dopo una settimana arrivava il nuovo vicino di casa nel quartiere residenziale di Vienna, e tra loro nasceva un interesse. 
Le lettrici mi hanno massacrato, e mi sono reso conto che i tempi in effetti non tornavano. 
Una settimana per piangere tuo marito, e basta? 
Troppo poco. 
Così ho spostato l’azione a sei mesi dopo la morte, e ho cambiato le circostanze dell’omicidio affinché Sandra fosse anche delusa oltre che addolorata. 
Come autore non sono assolutamente geloso di quello che scrivo e chiedo aiuto molto volentieri. Questa è stata la prima volta che mi sono rivolto a un gruppo di lettura, ma anche sugli altri romanzi che ho scritto ho sempre fatto un lavoro di editing per conto mio con Chiara B.M., che è una editor molto brava. Con lei lavoriamo per mesi: mi dà consigli sia stilistici che sui contenuti, che a volte accetto e a volte no, per cui discutiamo a lungo. Ci sono diciotto versioni di questo romanzo, che poi magari differiscono solo per una o due frasi, ma questo è il mio modo di lavorare.

Nel romanzo si parla anche di perdita: Sandra e Devon perdono una il marito e una il padre. Perché reagiscono in modo differente?

Vivono la perdita in maniera diversa. Per Sandra accanto al dolore per la perdita del marito subentra subito, viste le circostanze di questa morte, il terrore di aver vissuto con una persona diversa da quella che ha conosciuto, e di non scoprire mai la verità. 
Per Devon è diverso, perché in lei scatta un meccanismo di negazione: non accetta la morte del padre e ancora meno le dicerie su di lui. La barriera si crea perché madre e figlia non riescono a comunicare tra loro su questo. Il dolore si vive in maniera diversa a seconda dell’età, e spesso non si riesce comunque a comunicarlo anche nell’ambito familiare. Sandra ha un doppio carico, come moglie e come madre.

Sapeva già come sarebbe andato a finire il romanzo fin dal principio?

Quando invento una storia metto dentro solo qualche dato: ambientazione, inizio e fine. 
Tutto il resto viene scrivendo, ma il colpo di scena finale lo metto sempre in tutti i miei libri. 
Per me non è pensabile scrivere una storia senza aver bene presente il finale, che è il piatto forte dei romanzi di genere.

Che strada potrebbe prendere secondo te il giallo in Italia?

In Italia quello del thriller è un campo che lascia ancora degli spazi da esplorare. 
Abbiamo Carrisi che vende tanto all’estero e ha un genere ben definito, di stampo anglosassone ma con un’ambientazione sempre sospesa. Non c’è una scuola precisa, in Italia. Il noir è stato un po’ inflazionato, tant’è che anche Dazieri e Carlotto sono tornati al thriller. 
Io ho voluto scrivere un prodotto molto di genere, anche se non ci ho messo un serial killer o altri aspetti truculenti. Qui non era necessario parlare di violenza. 
Molti autori sono stati lanciati in grande come Mirko Zilahy e Luca D’Andrea, però sono fenomeni isolati: non vedo ancora una strada precisa.

«ognuno ha tre vite, una pubblica, una privata, e una segreta»

Gabriel García Márquez

Romano De Marco_Autore
L'Uomo di casa di Romano De Marco
Red kedi con Romano De Marco

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