Daniel Speck [INCONTRO/18]

by | Mag 16, 2018 | 01_DA PUBBLICARE, 2018, Eventi

La storia della mia vita era fatta di una serie di separazioni. Ed erano sempre state le donne a prendere in mano il loro destino. I bambini ne pagavano il prezzo.

Volevamo andare lontano racconta una storia comune a tutti, anche a chi non ha vissuto la guerra e ciò che è venuto subito dopo.

Tre generazioni che si raccontano e che dipingono la loro anima attraverso ciò che hanno vissuto. 

Vincent e Giulietta, che si incontrano a Milano per lavoro e subito si crea un’alchimia difficile da ignorare. Vincenzo e la moglie, si sono incontrati e scontrati in un momento particolare della loro vita che ha causato solo la meraviglia di Julia, che da adulta, fiera ed indipendente, insegue il suo sogno di diventare stilista ma che non riesce ancora a far pace con il vuoto che sente nel cuore.

Tutti (o quasi) i personaggi hanno nomi collegati con le auto, come Vincenzo (Vincenzo Lancia pilota automobilistico e imprenditore italiano, fondatore della casa automobilistica Lancia) o Giulietta (Alfa Romeo Giulietta è un’autovettura prodotta dal 1955 al 1966 dall’Alfa Romeo) e poi Julia (Alfa Romeo Giulia (Tipo 105) è un’autovettura prodotta dall’Alfa Romeo dal 1962 al 1977. Nata come erede della “Giulietta”, è stata proposta in numerose varianti di carrozzeria, nelle tipologie berlina, coupé, cabriolet e spider) che essendo il nome della nipote di Giulietta, sembra creato a doc per questa storia. Vincent invece, si scosta poco dalle case automobilistiche ma rimane un’oggetto fatto per spostarsi in comodità ma anche per correre veloci (Vincent Black Shadow è una motocicletta prodotta dalla Vincent dal 1948 al 1955. Con prestazioni molto superiori rispetto alle altre concorrenti dell’epoca, divenne ben presto un mito negli USA). L’idea era di inserire degli elementi un po’ maschili, un po’ duri e concreti, giuso per non cadere nel clichè del romanzo d’amore sempre troppo sdolcinato. 

L’idea di raccontare attraverso anche gli occhi di due donne, non è stato un problema perché essere sceneggiatori aiuta a sviluppare una mente ed una fantasia camaleontica. 

Forse per impersonare una donna devo fare uno sforzo in più, però direi che in loro c’è sempre qualcosa che trovo anche in me. Quando ero un giovane sceneggiatore vivevo come Julia, sacrificando tutto alla mia passione: questi sentimenti non sono solo femminili. Non mi sono sentito un inventore, ma un testimone di una storia vera, come se questi personaggi fossero effettivamente vissuti. 
Incontro molte persone e scrivo tante storie, per cui non mi è poi così difficile mettermi nei panni di una donna.

Per quanto però possa essere una buona scuola, fare il lavoro dello sceneggiatore è anche molto costrittivo e lo scoglio più grande è il budget. 

Io qui scrivo che i personaggi si trovano in piazza del Duomo a Milano, negli anni Cinquanta, ma un produttore cinematografico mi direbbe “Sei pazzo? Duecento comparse, i costumi, le auto d’epoca…” e questa frase tradotta al cinema costerebbe un milione di euro.

Scrivere un romanzo invece, vuol dire non porsi limiti ed è liberatorio poter scrivere senza dover tenere conto dei dettagli su cui il regista invece, non vuole e non può transigere.

Non è comunque facile passare dall’essere uno sceneggiatore ad uno scrittore. 
I modi di raccontare sono completamente diversi e mentre nel primo devi essere molto secco perché poi, sarà l’attore a doverci mettere l’anima, nel secondo bisogna essere più naturali perché non ci sarà nessuno a dare un’anima ai personaggi. 

Non devi descrivere troppo le emozioni. Ci sono romanzi che usano tantissime parole ma in cui non succede niente, e queste storie mi annoiano terribilmente. Forse il linguaggio cinematografico mi ha aiutato a descrivere più le azioni delle emozioni.

Daniel sta comunque lavorando ad un secondo libro, perché questa nuova esperienza gli è piaciuta e pensa di proseguire su questa via ancora per un po’. 
Troveremo ancora una volta una famiglia ma, sarà italiana in Tunisia e racconterà una storia sempre con la ricerca di un tabù famigliare. 

Credo che i tabù siano cose non dette nelle famiglie e che sono più importanti delle cose invece che vengono dette, sono quelli che veramente ci influenzano e questo è un tema che mi interessa molto, ovvero quello della famiglia, delle generazioni esistite prima di noi, quello che grazie a loro abbiamo imparato e a quello che ci lasciano, così come cita la prima frase del libro “La nostra vita non appartiene soltanto a noi. Questa casa che chiamiamo Io e1 abitata da coloro che sono venuti prima di noi. Le loro orme sono impresse nella nostra anima. Le loro storie ci rendono quello che siamo.

Daniel Speck_Autor
Volevamo andare lontano di Daniel Speck

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