Matteo Bianchi [INCONTRO/17]

Matteo Bianchi [INCONTRO/17]

Matteo Bianchi [INCONTRO/17]

Che fareste se ad un certo punto della vostra vita vi apparisse la Madonna?

Matteo Bianchi è uno scrittore italiano e appassionato di Musica.

Dopo aver terminato il servizio civile in un istituto per la cura di bambini psicotici, nel 1993 scrive alla casa editrice Stampa Alternativa facendo finta di aver scritto un rapporto sull’esperienza appena vissuta. Gliene manda due pagine (le uniche effettivamente scritte) e viene contattato inaspettatamente dal direttore editoriale M. Baraghini, che vuole pubblicare tutto il memoriale.

Oggi, dopo 24 anni, Matteo ritorna nelle librerie con Maria accanto.

Betty, la protagonista del libro, è una semplice ragazza di Milano che ad un certo punto inizia a vedere cose strane, fino a quando nella sua camera appare Maria, che le chiede di essere semplicemente sua amica. Ma appena arriva Maria, qualcosa cambia nella vita di Betty, e sarà la stessa protagonista a guardare il mondo da un altro punto di vista.

Il libro, come ha affermato lo stesso autore, tocca dei temi importanti, senza mai andare in profondità.

Il fatto che nel libro, Maria si vesta con i jeans la rende parte del nostro mondo, più umana. La nostra immaginazione ci fa credere che ciò che fa parte del Cielo non ci appartenga: ciò non è vero, siamo noi invece che non facciamo parte del Cielo e non capiamo. Non è facile comprendere questa unione tra Cielo e Terra

Tra una domanda e l’altra sulla trama ed i personaggi, non poteva assolutamente mancare la curiosità più comune. Com’era nato il libro?

Ero con un amico regista, Max Croci, ad un festival di cinema a Maiorca. Una mattina, al tavolino di un bar chiuso sulla riva del mare, mentre eravamo alla ricerca di ispirazione per il prossimo film, mi è venuto da raccontare tutta la storia, che come cortometraggio non poteva andare bene. Ne ero così preso che mi spiaceva lasciarla lì, a prender polvere in un cassetto e quindi, decisi di scrivere un romanzo

Dice di non aver abbandonato assolutamente l’idea di farlo diventare un film ma la vede dura non essendo una storia facilmente etichettabile (cosa di cui è particolarmente orgoglioso).

Orgoglioso anche perché scrivere, per lui, è una sofferenza ma in questo caso, è fiero del lavoro finale. Lo dimostra anche nei piccoli dettagli, come l’inserimento dell’artista teologo Jan Knap, che aveva scoperto molti anni prima e che ha voluto inserirlo perché  “ci stava bene e dipingeva una Madonna non divina ma umana”.

La bravura dello Scrittore sta nel calarsi appieno nel personaggio principale, facendo sì che il lettore non si accorga né del sesso e dell’età differente di chi vive e chi scrive la storia.

Non mi sono posto tantissimo il problema dell’età, quanto quello della normalità. 
“Maria accanto” parla di una ragazza che fa quelle cose che forse facciamo un po’ tutti, anche un po’ vergognandoci, come andare al centro commerciale di sabato pomeriggio per prendere due cose, andare a fare la spesa, comprare vestiti in Corso Buenos Aires. Insomma un po’ le cose di una persona qualsiasi. 
Il problema per Betty è vedersi da fuori: improvvisamente tutto quello che fa, avendo Maria accanto, le sembra stupido, troppo banale. 
C’è una scena in cui vanno a un concerto insieme e lei si guarda intorno e pensa che chiunque altro potrebbe essere più adatto di lei, perché forse è l’effetto che avremmo tutti: perché io?
Tutte hanno una storia più interessante della sua. Forse, più drasticamente, tutte hanno una storia, punto. 
Betty no. 
Cos’ha da raccontarle una che cerca tra gli appuntamenti sul giornale le cose interessanti da fare, perché di suo non ha alcuna idea?

Il bello della storia sta anche nel fatto che Betty si rende conto all’improvviso che la sua vita è addirittura banale, mentre Maria è proprio alla ricerca di quella semplicità che noi, nemmeno apprezziamo più. 
Uno scambio inconsapevole e semplice tra due donne che hanno sempre e molto da imparare.

Riassumendolo in maniera molto semplice: Maria non è spaventata dalla banalità che invece terrorizza Betty perché le sembra quasi uno spreco avere lì la Madonna e farle vedere H&M, ma in realtà la vita di tutti noi è fatta così, di questo tipo di banalità. Non abbiamo mediamente esperienze eccezionali però se lo fossero, allo stesso tempo, sarebbero meno significative per Maria perché rappresenterebbero delle eccezioni. 
La frase che ho scelto da inserire sul retro della copertina è: Siamo tutte ragazze qualsiasi. Sono le nostre esperienze a renderci speciali.

Come tutte le cose però, anche in questo caso si è arrivati alla fine ma non in modo triste. L’ultimo capitolo dona una quiete che porta a dire “è giusto che sia finito così”.

Per la prima volta in vita mia non ho mai avuto la sensazione che fosse finito perché ne ho scritto una versione che era ancora più breve, consapevole che non fosse sufficiente però ho dovuto confrontarmi con l’editor della casa editrice, con un po’ di persone, perché io capivo che sarei dovuto andare avanti per questa strada ma avevo bisogno che qualcuno dall’esterno mi desse dei riscontri effettivi. 
Io poi sono anche uno che non scrive in ordine cronologico: cioè io non scrivo dall’inizio per arrivare alla fine, sono capace di scrivere prima il quinto capitolo poi il ventesimo e poi l’ottavo perché devo mettere giù dei punti importanti e poi dopo, come nella Settimana Enigmistica, unisco tutto e capisco cos’è successo. Quindi in questo caso ho fatto lo stesso: ho posto i punti fondamentali per poi sistemare il resto. Sono andato avanti a sistemarlo praticamente fino al momento in cui è andato in stampa e avevo proprio la sensazione che avrei potuto continuare all’infinito. Ora, però, mi sembra concluso e ne sono soddisfatto.

Matteo B. Bianchi_Autor
Maria accanto di Matteo B. Bianchi
Artista teologo Jan Knap - Bambini con tenda

Giulia Valesi [INTERVISTA/17]

Giulia Valesi [INTERVISTA/17]

Ciao Giulia, grazie per aver trovato del tempo per noi. 
Prima di tutto, vorrei sapere come ti è nata l’idea della storia.
Grazie a voi! La storia… in principio c’era facebook, poi è arrivato whatsapp. Con tutta probabilità arriverà qualcos’altro di nuovo per velocizzare i tempi delle friendzonate.  Io pensavo però ai miei eroi classici, Per dirne una su tutte, Trilli, innamorata di Peter Pan (a cui ha donato la miglior polvere di fata), è una delle mie friendzonate classiche che mi hanno portato a scrivere la storia.
Inutile negarlo, il titolo è veramente particolare. Perché hai scelto proprio questo?
Un po’ perché è così che ci si sente, cuore a pezzi, mascelle doloranti, il treno emotivo pesa tanto ed è un dolore che si svolge nel lungo termine, rispetto al treno letterale (credo). Poi perché mi faceva sorridere, soprattutto devi trovare il modo di sorridere. Dopo mesi di scarabocchi e annotazioni e consulti con la mia editor, è arrivato.
Questo è il tuo primo romanzo. Come ti senti adesso che è uscito?
Mi sento come una che è stata romanzata! A volte non mi pare vero, devo toccarlo.
Vuoi dare qualche consiglio per sopravvivere ad una delusione d’amore?
Nulla di innovativo o che sia possibile fare indossare a chiunque ma… tempo e fatica. Le ferite del cuore vanno fatte asciugare, bisogna prendersene cura, bisogna quindi volerci un po’ più bene del solito, farci le coccole (per me è il gelato). Poi la fatica, sforzarsi di uscire e indossare un sorriso per l’occasione, anche se non se ne ha voglia. Un modo per uscirne è uscire e basta.
Parliamo di social. Cosa ne pensi di questo nuovo modo di dichiarare il proprio amore?
Diciamo che non è il massimo del romanticismo, spesso, con le faccine e gli adesivi… però è veloce, ed è anche comodo. Io, per esempio, sono molto timida, non avere un interlocutore davanti mi aiuta, a volte. Però un rapporto non potrebbe mai essere solo social.
Parliamo dei personaggi. Da chi hai preso ispirazione?
Ahem… diciamo che Valentina assomiglia moltissimo a una persona che conosco molto bene. Diciamo che Giuliano assomiglia moltissimo al mio uomo ideale.
Adesso che la storia è conclusa, chi di loro ti sta più a cuore?
Giuliano, lui mi sta proprio a cuore.
Stai già progettando qualcosa per il futuro? O preferisci stare tranquilla?
Sto pensando a qualcosa, lo sto sognando. Più che stare tranquilla, questo è il periodo magico. Il romanzo è uscito e mi sto godendo l’esperienza.
Ci sveli quali sono i tuoi libri preferiti?
Tutti gli Harry Potter, amo le eroine classiche di Jane Austen, non disdegno i thriller, uno dei miei autori preferiti è Stephen King. 
Conosci tante persone friendzonate?
Almeno una.
Tre metri sotto un treno. Come vorrei trovare un ragazzo come te di Giulia Valesi
Niccolò Zancan [INCONTRO/17]

Niccolò Zancan [INCONTRO/17]

Niccolò Zancan [INCONTRO/17]

Non erano le cose che mi accadevano a darmi la misura di me stesso, ma vederle riflesse nella considerazione degli altri.

Ogni incontro è qualcosa di magico, soprattutto quando sei lì insieme alle amiche che ormai vedi più spesso della famiglia. 
Ogni incontro è una piccola opportunità, perché permette di essere a contatto con gente nuova e stimolante. 
Ogni incontro è una nuova scoperta.

L’incontro in questione è stato con Nicolò Zancan ed il suo nuovissimo libro, L’undicesimo comandamento.

L’evento è stato un po’ come andare in battaglia. 
Tra bottiglie che cercavano di ucciderci e frullatori che volevano distruggere il mondo partendo dal nostro bar… siamo riusciti a chiacchierare con Nicolò e dopo un inizio un po’ impacciato (facciamo sempre paura!), ci siamo addentrate nella foresta.

Io purtroppo sono un metropolitano nevrotico e anzi, sento questa cosa come un grosso problema personale: la fortuna e la bellezza di poter scrivere è anche quella di immaginare qualcosa di diverso. 
Impossibile non rivedersi in queste parole. Tutti siamo un po’ come Andrea, il protagonista del libro. Tutti siamo nevrotici e sempre attaccati al telefono, sempre pronti a condividere con il mondo quello che facciamo e vediamo. La tecnologia può avvicinare moltissimi cuori ma il passo per diventare un’ossessione è assai breve. Credo che ci sia un forte bisogno di un ritorno alla fisicità. 
Alla fine della giornata voglio sentirmi stanco a livello fisico, per qualcosa che ho fatto: non voglio sentirmi apatico e con gli occhi che bruciano per il troppo tempo passato davanti allo schermo del computer. 
Mi rendo contro che parlare o promuovere attraverso il web, possa sembrare un controsenso però è vero. Arrivare a fine giornata, con gli occhi stanchi, rende spesso le persone scontente.

Essere attaccati a ogni dispositivo però, fa sorgere almeno un paio di domande. 
Quanto coraggio ci vuole ad essere sé stessi? Molto coraggio. Perché apparentemente l’Occidente non è mai stato tanto libero come adesso, ma nel concreto c’è un’omologazione totale. Eppure, l’omologazione non permette di stanare i veri talenti che potrebbero raggiungere il successo…  Innanzitutto bisogna stabilire cosa sia effettivamente il successo, perché ora come ora è una cosa troppo identificata con la visibilità. E qui ritorniamo al condividere qualsiasi cosa con il mondo, perdendo molta della magia del momento e del luogo.

Anche un’altra domanda diventa quasi obbligatoria, soprattutto se si è già avuto il piacere di leggere il libro. Il protagonista, prima della vera fuga, lancia il suo telefono, perdendo così in modo forzato la connessione con tutto. Chissà però quanto può reggere Nicolò…  Non ci sono riuscito del tutto, e anzi, questa esperienza mi ha dato modo di vedere quelli che sono sintomi di una vera e propria nevrosi: il telefono diventa un arto, e quando ce ne separiamo ci sentiamo come se ci mancasse una parte di noi.  Però, la bravura deriva anche da questo. Cercare di immergersi in quello che si vuole raccontare. Solo così si riesce a creare un filo emotivo con il lettore. 

Come mio solito, non posso esimermi dall’ammirare la copertina.

Un bosco dal colore brillante, un po’ come quello che vedo ormai ogni estate ma fondamentalmente…. l’idea di chi è stata? Qualcuno proponeva un bosco autunnale ma no, questa è sicuramente la scelta migliore! 

Niccolò Zancan_Autor
L’undicesimo comandamento di Niccolò Zancan
Paola Calvetti [INCONTRO/17]

Paola Calvetti [INCONTRO/17]

Paola Calvetti [INCONTRO/17]

La scrittura di un libro è un po’ il posto del cuore.

Paola Calvetti è una scrittrice e giornalista italiana.

Nell’arco degli anni, ha seguito molte strade, tra cui la collaborazione al quotidiano La Repubblica tramite articoli sullo spettacolo ma, spesso la riconosciamo grazie ad i suoi libri. 

Appunto per questo, nei primi di maggio c’è stato un incontro informale a casa sua, per parlare della sua ultima opera letteraria. 

Riuniti attorno al suo divano, tra blogger e libraie, Paola ci ha raccontato di questa nuova esperienza. 

Questo romanzo è nato da una frustrazione. Lavoravo a Firenze, una città bellissima, e avevo in animo di scrivere una storia ambientata in quella città e che parlasse di musica e dell’orfanilità.

La musica comunque torna prepotente in questa storia e lei, fa una grossa risata raccontandoci che in realtà, non si era veramente accorta di questo dettaglio. 

In effetti mi sono sentita dire che in questo romanzo è condensata tutta la Tematica Calvetti, perché ho unito casa di riposo-musica. In realtà rispetto alla prima mi sono ispirata ad un documentario chiamato Alive Inside, in cui il neurologo cura i suoi pazienti tramite la creazione di colonne sonore studiate ad hoc. Rispetto alla seconda: mi è servita come stratagemma per parlare di queste realtà. Volevo però anche dare alla musica lo spazio che si merita, descrivendo il grandioso potere di cui dispone.

Le viene chiesto anche come riesca a gestire le sue tre personalità (Ufficio stampa, giornalista, autrice di romanzi) ed in tutta semplicità ci spiega che “Quando scrivevo per Repubblica prima, Il Corriere poi, ci ho sempre messo un po’ di letterario, anche se in me vive l’animo della cronista. Questo si riflette nei miei romanzi solo per una cosa: la ricerca delle fonti, io non pubblicherò mai qualcosa di non verificato.”.

Anche la storia dei due protagonisti, Jacopo e Dasha, doveva basarsi su dati veri ma direttrice dell’istituto degli Innocenti non ha voluto fornire le informazioni che Paola chiedeva. 

La legge parla chiaro e lei, ligia alle regole, non cede. 

Così, questi due protagonisti, nascono dal nulla anche se molte cose sono comunque vere, come lo sbarco del 7 marzo 1991 di Dasha che Paola ricorda di aver visto. Anche la sinfonia di Brahms, “Doppio concerto per violino e violoncello” è un punto vero che voleva assolutamente includere nella storia e anzi, “Volevo scrivere un romanzo in cui non ci fosse neppure una parola di troppo”. 

 

Gli Innocenti, è una storia dolce e amara allo stesso tempo ma con un pizzico di speranza. 

Paola si è superata, arrivando al cuore anche di chi la legge per la prima volta. 

Sono rimasta innamorata della casa di Paola. Non solo per la disposizione un pò inusuale ma anche per la quantità di libri che contiene! 

MERAVIGLIA! 

Foto gruppo blogger presenti durante l incontro di Paola Calvetti
Paola Calvetti_Autor
Gli innocenti di Paola Calvetti

Sara Rattaro 2 [INCONTRO/17]

Sara Rattaro 2 [INCONTRO/17]

Vogliamo sapere la verità. La desideriamo più di ogni altra cosa. Frughiamo nelle tasche e controlliamo umori e telefonate. Lo facciamo perché siamo convinti di poterla affrontare e, se questa sembra sfuggirci, ci intestardiamo come muli senza prendere in considerazione che forse sarebbe meglio non sapere

Com’è nato il libro? 

Questa è una storia che è arrivata un po’ all’improvviso con questo segnale che è un po’ quello delle mie storie: improvvisamente ho sentito il desiderio di raccontare di Giulia. 
Giulia è una donna di quarant’anni che improvvisamente, si trova a dover gestire la sua vita pubblica, la sua vita privata e la sua vita segreta. Un giorno qualunque si ritrova su una spiaggia e l’uomo con cui è, di cui è follemente innamorata, ha un malore e quindi lei con la forza della disperazione fa di tutto per soccorerlo. 
Contemporaneamente in questo tragitto in cui vanno in ospedale, c’è un ingorgo del traffico perché c’è stato un incidente e la persona che lo ha causato è il vero marito di Giulia, Emanuele, il quale si ritroverà nello stesso ospedale e neanche lui era da solo in macchina. 

Sembra che il karma sia contro Giulia. Prima l’uomo che ama e nello stesso tempo, quello che ha sposato.

Sono convinta che la vita abbia più fantasia di noi quindi a volte le cose vengono scoperchiate per una banalissima serie di inidizi o coincidenze e Giulia, in questo caso, si ritrova di fatto in ospedale con al piano di sotto il marito e al piano di sopra il suo amante.

Perchè il bisogno di aver due vite così separate? Ciò che vorrebbe e ciò che ha fatto.

L’amore addosso è un romanzo legato a tutto quello che noi siamo e dobbiamo essere.
Il fatto che, soprattutto per quanto riguarda le donne, dobbiamo essere sempre “qualcosa”: siamo una moglie, una mamma, una donna che lavora, una dipendente, abiamo sempre un ruolo e non c’è mai un momento in cui possiamo permetterci il lusso di essere noi e basta. Ruoli che ovviamente sono dominanti nella nostra vita, perché se sei una mamma e una moglie non puoi fare un sacco di cose, se per caso non sei una moglie o non sei una mamma e hai un’età “al limite” la società ti si rivolta contro – siamo sempre sbagliate in qualche modo.

Come’è stato deciso il titolo del libro?

Il significato del titolo è proprio il concetto dell’”dosso”. Avevo un disperato bisogno di un titolo che fosse avvolgente sulla mia protagonista. Quindi ho pensato al concetto dell’amore addosso proprio come tutte le cose che puoi avere addosso e che simboleggino l’amore: l’amore materno, l’amore nei confronti di una marito o di un amante e lei le ha proprio tutte addosso quasi come se fossero rovesciate.

C’è anche un altro grande personaggio accanto a Giulia.

Mi sono accorta di non averle mai dato un nome solo dopo aver finito il romanzo.
Lei sarà la madre che rappresenta insieme a Giulia uno scontro generazionale molto preciso che non è lo scontro generazionale tipico di tutte le madri con le figlie, ma sono proprio le loro date di nascita ad essere importanti. Perché la mamma di Giulia è una donna che nasce alla fine della seconda guerra mondiale e le donne nate in quel periodo a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta sono donne che hanno lavorato tantissimo.
Intanto perché escono da una situazione sociale dove la guerra aveva tolto tutto, soprattutto l’affettività, la condivisione degli affetti, il concetto di famiglia che non fosse legato al “costruiamoci qualcosa e togliamoci le macerie” e sono tutte donne, soprattutto quelle che hanno lavorato fuori da casa, che hanno davvero lavorato tanto perché lavorare in quel periodo per una donna era difficilissimo perché di fatto poi non ti era proprio molto concesso – erano delle vere pionerie. Dall’altra parte lavorare fuori non ti alleviava dal lavororare in casa perché dovevano comunque gestire i loro lavori una volta tornate a casa.

Sara Rattaro_Autor
L'amore addosso di Sara Rattaro