CASA PLUTONE: Focus On. Golden Son

CASA PLUTONE: Focus On. Golden Son

L’istituto è una scuola d’élite in cui sono ammessi solo i migliori Oro, scelti molto attentamente attraverso test fisici e mentali. Il numero degli studenti ammessi viene successivamente dimezzato durante il “Passaggio“: una pratica sanguinaria in cui due studenti si trovano a combattere l’uno contro l’altro per la vittoria – o ti arrendi o muori.

Casa Plutone è una tra le più misteriose.

Senza stendardo e con pochi nomi, fa parte di quelle cose misteriose che non ci è dato sapere.

Non conosciamo la maggior parte degli studenti e per quelli che vediamo, fanno comunque un’apparizione fugace.

Conosciamo i “Boneriders” ma non sappiamo da chi sia formato questo gruppo di guerrieri d’élite che seguono una delle figure più misteriose di Casa Plutone.

Tra i vari partecipanti, incontriamo Lilath au Falthe.

Giovane ragazza non particolarmente bella, si è distinta per la particolarità di metter delle ossa tra i capelli (tinti di nero) e per la sua freddezza. Trova molto divertenti gli atti di crudeltà e non si risparmia nulla.

Sui vari siti e direttamente su internet, non sono presenti foto e disegni di questo personaggio. Avendo letto Red Rising e Golden Son, vi posso assicurare che non ci perdiamo assolutamente nulla.

Adrius au Augustus, in arte, Lo Sciacallo.

Figlio di Nero au Augustus e fratello (gemello) di Virginia au Augustus.

Impenetrabile nella sua indolenza. La faccia comune. Occhi come monete levigate, consumate. I capelli colore della sabbia del deserto. L’unica mano rigira tra le dita uno stilo d’argento, come un insetto che guizzi su un terreno devastato, crepa dopo crepa.

Non lo si vede per gran parte del primo libro. Si vocifera della sua presenza ma non sappiamo chi sia in verità.

Quando Darrow lo incontra per la prima volta, la fama lo precede perché il soprannome Sciacallo non è stato dato a caso. Dicono che per sopravvivere, abbia mangiato alcuni dei suoi compagni.

Sicuramente è uno dei personaggi più complicati e difficili dell’intera trilogia o più semplicemente, quello che suscita più compassione perché da arma invincibile del padre, viene poi abbandonato per Darrow.

Anche dopo il duro colpo, cercherà sempre l’approvazione del padre. Quantomeno, fino alla fine di Golden Son.

Golden Son. Il segreto di Darrow di Pierce Brown_Mappa
Golden Son. Il segreto di Darrow di Pierce Brown_Adrius au Augustus. Lo Sciacallo

Adrius au Augustus
In arte, Lo Sciacallo

Dal film al romanzo. Tomb Raider – I diecimila immortali

Dal film al romanzo. Tomb Raider – I diecimila immortali

Gioia o Dolore?

Sono cresciuta con mia madre che giocava a Tomb Raider sulla playstation 1. Ho passato anni a ingabbiare il povero maggiordomo e tentando di finire il gioco.

Invano.

Poi sono arrivati i due film con una Lara Croft da urlo interpretata da quel tronco di gnocca di Angelina Jolie. Scusate l’espressione ma la trovavo meravigliosa e ancora oggi, dopo quindici anni, lo credo ancora.

Dicevo.

La donna che io ricordo, era forte ed affascinante.

Intelligente e matura ma anche spericolata ed avventuriera.

L’icona perfetta per delle giovani bambine che sognavano di vivere delle vere e proprie avventure come protagoniste e non come parte dell’arredamento.

Quando qualche mese fa ho visto che sarebbe uscito un libro su di Lei. Gioia.

Non ho saputo resiste e questo blogtour era l’occasione perfetta per poterlo leggere, rivangando meravigliosi ricordi.

La Lara Croft del libro è giovane e al momento, in “ferie”. Dopo aver finito uno scavo archeologico, si prende del tempo per dimenticare quello che è veramente successo a Yamatai e per combattere gli attacchi di panico che la perseguitano ad ogni rumore improvviso.

Già dalle prime pagine, ho capito che il mio ricordo di Lara nei film avrebbe fatto a cazzotti con quella letteraria.

Chiariamoci, il libro mi è piaciuto ma il personaggio mi è indigesto.

Lara è una ciuciapocce.

No, tranquilli, non è un insulto in greco antico. Semplicemente i due personaggi cozzano e preferisco quella che ho imparato ad amare con Angelina.

So che la storia che ci viene raccontata si piazza, cronologicamente parlando, tra due giochi (Tomb Raider del 2013 e Rise of the Tomb Raider del 2015) e oggettivamente io non ricordo il carattere di Lara su quel frangente ma l’ho trovata molto insicura e largamente immatura.

Capisco che sia comunque giovane ma alcuni modi di fare si discostano dal film e anche banalmente parlando, il modo in cui vive è diverso rispetto al film. Per esempio, vive in un appartamento con la sua amica Sam, mentre nei film vive in una residenza che ancora oggi sogno insieme a quel povero disgraziato del Maggiordomo (che nel gioco veniva immancabilmente chiuso nella ghiacciaia mentre nel film tentava inutilmente di addomesticare Lara e doveva pulire tutto ciò che distruggeva).

Da un lato posso capire la differenza tra il vedere una storia e leggerla ma dall’altro, veramente… ho in mente un personaggio molto più forte.

Vista da fuori, probabilmente sembrerebbe una “ragazza cazzuta” ma il pregio di poter leggere i suoi pensieri in questo caso si trasforma in difetto.

Se nei film, vediamo solo le sue azioni e ascoltiamo le sue parole, nel libro veniamo a conoscenza di tutte le pippe mentali e queste, fan si che si perda parte del fascino.

Ora però fatemi chiarire una cosa.

Il libro l’ho trovato interessante anche se si piazza tra due giochi. Non è una palla e scorre liscio.

Se non avessi in mente i film, probabilmente avrei apprezzato di più il personaggio. Mi rendo conto che è una fisima tutta mia…

In definitiva però, continuo a preferire i film!

Tomb Raider. I diecimila immortali di Dan Abnett e Nik Vincent_Angelina in Lara Croft film
Tomb Raider. I diecimila immortali di Dan Abnett e Nik Vincent_Videogioco

Antonella Tomaselli e Massimo Vacchetta [INTERVISTA/16]

Antonella Tomaselli e Massimo Vacchetta [INTERVISTA/16]

Massimo Vacchetta
Buongiorno Massimo, grazie per esser riuscito a ritagliare del tempo per noi. Vorrei iniziare con qualcosa di classico, giusto per prendere un po’ di confidenza. Parlaci un po’ di te.
Vivo in Piemonte, a Novello. Sono un veterinario e quando ho cominciato a lavorare mi son prevalentemente occupato di bovini. Sono da sempre appassionato di natura e animali. Ora gran parte del giorno e della notte la dedico ai ricci, piccoli animali selvatici a rischio di estinzione.
Perché sei diventato un veterinario?
Da ragazzo ero indeciso, volevo fare l’astrofisico, ma mi stuzzicava pure dedicarmi a degli studi d’arte. Però, come si leggerà anche nel libro, prevalse il desiderio di dedicarmi agli animali.
Come mai ti sei dedicato ai ricci?
Proprio per caso. Tutto è cominciato quando ho incontrato Ninna, una riccetta spettinata, che ha mosso qualcosa dentro di me: la compassione. Ninna, inevitabilmente, ha catturato il mio affetto. Mi è stata affidata da un collega: era una cuccioletta di appena 25 grammi, nata da poco e completamente sperduta. Ho fatto il possibile per aiutarla a sopravvivere… All’epoca non sapevo nulla di ricci e ho seguito le indicazioni degli esperti, un po’ il buon senso. Le davo il latte ogni tre ore e tra una “poppata” e l’altra come non innamorarsi di lei? Era bellissima, tenerissima e così indifesa…
Quanto è stato difficile lasciare andare Ninna?
Tantissimo. E’ stata una decisione molto contrastata. Sapevo che ormai era pronta per ritornare in natura e che se la sarebbe cavata, ma non riuscivo a staccarmi. Da una parte mi frenava l’estremo attaccamento a lei, dall’altro un animale selvatico per essere felice deve essere restituito al suo habitat naturale. E io ho scelto la sua felicità. L’ho liberata in un posto bellissimo, che chiamo il «Paradiso», dove avrebbe trovato tutto quello che le serviva. Non l’ho più rivista da allora, ma spero ancora che possa succedere. Chissà…
Cosa vorresti trasmettere al lettore?
La mia passione, il mio entusiasmo, il mio amore per gli animali. In modo che tutti si attivino e tendano una mano per preservare il nostro pianeta. Solo così facendo potremmo salvarci…
Puoi darci qualche consiglio su come trattare i ricci? Io, come sicuramente molti altri, ne trovo alcuni che gironzolano confusi per strada, in periodi dove dovrebbero essere altrove. Come ci si deve comportare?
Se ne vediamo uno di giorno in campo aperto, ha sicuramente bisogno d’aiuto. Se vedete un riccio fermo sulla strada, fermatevi e soccorretelo.
Per informazioni più dettagliate, vi invitiamo qui: 
Facebook Centro Recupero Ricci “La Ninna”
www.lacasadeiricci.org
Raccomando comunque estrema attenzione quando si usano decespugliatori, o quando si bruciano cumuli di rami e foglie in giardino. Inoltre esorto a non usare veleni in agricoltura. Preservare le aree naturali intorno a noi è di fondamentale importanza per la sopravvivenza dei ricci.
Com’è nata l’idea di aprire “La casa dei ricci”?
Per me è stato un percorso inevitabile: mi sono talmente appassionato, tramite Ninna, che ho sentito il bisogno di fare qualcosa per i ricci e per tutta la natura.
Antonella Tomaselli
Buongiorno Antonella, grazie per averci concesso il tempo per questa intervista. Vuoi parlarci un po’ di te?
Sono bergamasca, ma da qualche anno a questa parte vivo quasi sempre in Liguria. In famiglia siamo in tre: io, mio marito e nostro figlio. Più quattro yorkshire terrier. Più il nostro gatto, che non è nostro, ma che ha deciso di “adottarci” 
Questo non è il tuo primo libro. Cosa ti ha spinto a parlare di ricci?
Scrivo storie vere per “Confidenze tra amiche” e ho conosciuto Massimo, il protagonista del libro, quando ho scritto la sua storia per il giornale. Mi piace scrivere di vari argomenti, ma adoro raccontare di animali e di natura: sono la mia passione.
Vedo che i diritti del tuo libro precedente sono stati destinati in beneficenza. Da dove nasce quest’idea di scrivere per aiutare chi ne ha bisogno?
Penso che se ogni persona facesse qualcosa per aiutare gli altri, il mondo sarebbe migliore. Cito una frase del libro “25 grammi di felicità”: “Se ognuno facesse la propria parte le gocce nel mare formerebbero, insieme, oceani e cieli”.
Collaboro con ioleggoconjoy.com, un blog letterario no profit, dalla parte degli animali, che accoglie scritti e pubblica libri a sostegno di associazioni che operano per i diritti degli esseri viventi più deboli (umani compresi). Il mio libro precedente è appunto stato pubblicato da ioleggoconjoy.
Cosa pensi di Ninna e di tutti i suoi fratelli?
Mentre scrivevo di lei e degli altri mi ci sono affezionata tantissimo. Me li vedevo proprio mentre vivevano le loro storie. Sono così teneri e indifesi! Irresistibili! Mi sono commossa per ogni liberazione in natura. 
Cosa vorresti trasmettere a tutti i lettori che leggono e leggeranno “25 grammi di felicità”?
Mi è piaciuto scrivere di Massimo e dei suoi riccetti, io e lui siamo ben sintonizzati e avvertiamo le stesse emozioni. E sono proprio queste ultime che ho cercato di trasmettere. Nel libro ci sono brani molto toccanti e altri, al contrario, divertenti, ma da tutti traspaiono sentimenti buoni e delicati. Ecco, spero che queste sensazioni arrivino a chi legge e leggerà. Insieme all’attenzione, all’amore e al rispetto per questi affascinanti ricci, e per tutta la natura che ci circonda. 
25 grammi di felicità di Massimo Vacchetta e Antonella Tomaselli

Licia Troisi [INTERVISTA/16]

Licia Troisi [INTERVISTA/16]

Buongiorno Licia, grazie per esserti resa disponibile!
Partiamo con qualcosa di semplice? Cosa fai nella vita oltre a scrivere?
Un sacco di cose :P. Sono una moglie e una mamma, principalmente, ma sono anche un’appassionata di serie televisive e fumetti, una fortissima lettrice, faccio dolci che provo a decorare col cake design, faccio origami…ho molte passioni, a volte penso un po’ troppe :P.
Oltre a scrivere, leggi? Quali sono i tuoi libri preferiti? 
Sì, leggo moltissimo, senza leggere non potrei fare questo mestiere. Non ho un genere di libro preferito, leggo di tutto, dalla narrativa alla saggistica, e il fantasy è solo una parte, neppure maggioritaria, di quel che leggo. Il mio libro preferito è Il Nome della Rosa, che leggo una volta l’anno, in genere nel periodo di Natale, e, nel fantasy, adoro Jonathan Stroud. La sua serie Lockwood & co. mi sta appassionando tantissimo.
Quante storie hai messo da parte, prima di capire che era arrivato il momento di pubblicare?
Molte, ma sono rimaste tutte nella mia testa; per me la scrittura è stata una prosecuzione del gioco. Da bambina inventavo un sacco di storie, in genere ispirate a film e cartoni animati. Quando sono cresciuta, ho preso l’abitudine di raccontarmele la sera, a letto, per conciliarmi il sonno. Notte dopo notte le arricchivo e sviluppavo la trama. Nessuna di queste storie, però, mi ha mai convinta a sedermi alla scrivania e farne un libro. In compenso, ho scritto tantissimo diario e parecchi racconti.
Cosa ti ha spinto a scegliere proprio quella storia? 
Perché mi appassionava moltissimo e mi faceva sentire sicura: la mia paura maggiore, quando inventavo una storia, era non saperne abbastanza per scriverne. Col Mondo Emerso, invece, ero io la padrona di ogni aspetto: non solo la storia, ma anche il mondo era di mia invenzione, e nessuno poteva saperne più di me. Col senno di poi, non era una cosa poi così vera, ma mi ha dato la spinta che mi serviva a trovare coraggio e iniziare a scrivere un libro.
Quando hai pubblicato il tuo primo libro, come ti sei sentita?
La sensazione di irrealtà è stata preponderante dal momento in cui mi ha telefonato la Mondadori per dirmi che era interessata alla pubblicazione del libro a quello in cui ho visto Nihal della Terra del Vento sullo scaffale, in libreria. A volte, mi sembra ancora tutto un po’ irreale, e sono passati tredici anni :P. Poi, certo, c’è stata la soddisfazione, ma mi sono sempre concentrata più che altro sul mio lavoro, cercando di migliorarmi e di pensare sempre al libro successivo.
Ti saresti mai aspettata tutto questo successo? 
Assolutamente no. Quando ho mandato il libro, alla Mondadori e a una piccola casa editrice a pagamento romana (ma io all’epoca non sapevo fosse a pagamento…) non pensavo neppure che sarei arrivata alla pubblicazione. È stata tutta una sorpresa, per certi versi lo è ancora.
Com’è la tua vita ora? Le persone ti fermano per strada? 
Solo a Lucca durante la fiera del fumetto. Lì, in effetti, per usare un termine scientifico, il mio cammino libero medio è brevissimo: faccio trenta metri e qualcuno mi riconosce. In generale, invece, è raro che la gente mi riconosca per strada. È successo qualche volta, ma non posso dire che sia proprio una cosa frequente, e, tutto sommato, è anche meglio così: mi piace essere un po’ invisibile quando vado in giro.
Com’è stato vedere per la prima volta i disegni di Paolo Barbieri? È riuscito a immortalare bene l’idea che ti eri fatta dei tuoi personaggi? 
È stato uno di quei momenti in cui ho capito che la faccenda si stava facendo seria. Ricordo che la casa editrice mi mandò una prima versione della Nihal sulla copertina di Nihal della Terra del Vento, senza elmo, e io iniziai a girare l’Osservatorio Astronomico di Roma, dove stavo facendo la tesi di laurea, per farla vedere un po’ a tutti. Se abbia interpretato o meno la mia idea dei personaggi credo sia ininfluente: è giusto, e anzi mi fa molto piacere, che un artista metta del proprio nella rappresentazione anche di creazioni altrui. Sono sue interpretazioni, e le trovo particolarmente efficaci, soprattutto per quel che riguarda le copertine dei libri.
Com’è stato vedere per la prima volta una cosplayer tratto da un tuo libro? 
Meraviglioso. Ho fatto cosplay, e una volta l’anno, a Lucca, continuo a indossare per un giorno l’armatura. Quest’anno ho a lungo accarezzato l’idea di fare il cosplay della Cersei dell’ultima puntata della sesta stagione de Il Trono di Spade. So cosa spinge a scegliere un certo personaggio, e come ci si sente a indossarne le vesti. Credo non esista soddisfazione maggiore, per chi fa cultura pop come me, che vedere qualcuno fare il cosplay di un proprio personaggio. Per esempio quest’anno Valentino Notari, un noto cosplayer italiano che ho conosciuto nei panni di Sennar, farà un cospaly di Saiph, e io non vedo l’ora di vederlo.
Quando inizi a scrivere una nuova storia, conosci già il finale? Oppure è una scoperta anche per te?
Sì, il finale devo conoscerlo, e raramente cambia in corso d’opera; posso modificare qualche snodo di trama, ma i punti centrali della narrazione devo conoscerli per bene. Credo che una storia sia un viaggio, in cui il lettore è accompagnato da una guida, che è lo scrittore; per questo devo sempre sapere a che punto sono e dove voglio arrivare.
Come ti senti una volta arrivata alla fine di una saga?
Soddisfatta, ma anche triste. Finire qualcosa fa sempre piacere, è il compimento di un lavoro che spesso dura anni, ma fa sempre un po’ male lasciare personaggi con cui si è convissuto così a lungo. Mi è capitato per esempio quando ho chiuso La Ragazza Drago: Sofia e gli altri erano stati con me per cinque anni, è stata dura dir loro addio. Al tempo stesso, ero contenta del risultato, e felice di essere riuscita a portare a compimento una storia così lunga.
Come nascono le tue idee per i libri? 
Dalla vita di tutti i giorni. Più passa il tempo più penso che il raccontare storie sia un mio modo di essere: io guardo alla realtà in questo modo, tutto, per me, può essere spunto per una storia. In genere racconto questo aneddoto: una sera ero sul treno, era inverno, ero molto stanca, e tornavo da non ricordo quale presentazione. A intervalli regolari, mentre me ne stavo a occhi chiusi a cercare di dormire, mi arrivava uno spiffero gelido. Era semplicemente la porta tra i vagoni che si apriva, ma io ho subito iniziato a fantasticare di un fantasma che viveva sul treno e si faceva vivo solo in questo modo.
Quando incominci a scrivere, hai già tutti i dettagli in mente? 
Il maggior numero possibile, sì, ma ovviamente non tutti. So per esempio di cosa tratterà ogni capitolo, ma poi la gran parte dei dettagli veri, quelli che danno corpo e colore alla storia, e la rendono infine divertente da leggere, mi vengono in mente sul momento. 
Cosa ne pensi dell’auto pubblicazione? 
Credo possa essere un buon modo per farsi conoscere. Io però penso che il ruolo dell’editore, o meglio ancora dell’editor, resti comunque fondamentale: il confronto con una figura professionale che ti fa crescere come autore, ti aiuta a correggere e in qualche modo far uscire dal guscio il tuo libro è sempre stata per me indispensabile, e questo è un servizio che ti può dare solo una casa editrice o un’agenzia letteraria. Inoltre, la casa editrice, quando funziona bene, ti dà una visibilità che l’auto pubblicazione non è in grado di darti. 
Svelaci qualche dettaglio del tuo nuovo lavoro. Puoi? 
Uhm…più che altro non so che dire :P. Posso dire che d’inverno, a metà mattina, ho bisogno di una tazza di te; ho il bollitore direttamente in stanza, con un sacco di tè diversi che mi regalano le persone nei loro viaggi. Mi aiuta a staccare e al tempo stesso a concentrarmi. Poi mi distraggo spesso mentre scrivo, lo confesso, ma mi serve; quando mi trovo improvvisamente bloccata su un punto della trama che non riesco a sbrogliare, ho bisogno di staccare completamente: navigo in rete, faccio merenda, faccio una cosa qualsiasi che mi distragga. Quando ritorno sulla pagina, in genere riesco a trovare subito la soluzione. È una cosa che ho imparato dalla mia carriera scientifica: quando sei bloccato, è inutile rimuginare. O chiedi aiuto a qualcuno (e certe volte lo faccio anche coi problemi di trama), oppure stacchi. Le cose vanno viste da un altro punto di vista per poterle risolvere.
Ti piacerebbe vedere i tuoi libri sul grande schermo? 
Beh, certo. Non credo però accadrà mai, o comunque non a breve termine. Le condizioni in Italia e in Europa al momento non ci sono, e io praticamente non sono tradotta per il mercato anglofono. Inoltre, secondo me la grande ondata dei film fantasy si sta esaurendo. C’è ancora posto per le serie tv, e forse è a quelle che dovrei puntare.
Cosa vorresti trasmettere ai lettori? 
Innanzitutto li voglio divertire, appassionare, commuovere, voglio che entrino nelle mie storie e non desiderino uscirne più. E poi voglio che si pongano domande su se stessi e sul mondo, che le mie storie cambino anche solo di un pochino il loro punto di vista sulla vita. 
Licia Troisi_Autore
Le lame di Myra. La saga del Dominio di Licia Troisi

Ildefonso Falcones [INCONTRO/16]

Ildefonso Falcones [INCONTRO/16]

Ildefonso Falcones [INCONTRO/16]

Red Kedi con Ildefonso Falcones
Sapete chi è l’uomo vicino a me?
No?
Ma come?!
Eddai, è facile… lui è Idefonso!
Su dai, lo conoscete bene. Avrete sicuramente visto i suoi mat… ehm, libri in libreria. “La regina scalza”, “La cattedrale del mare” ed il più recente “Gli eredi della terra” (ovvero il seguito della Cattedrale). 

Il 10 ottobre ho avuto l’onore ed il piacere di andare direttamente da lui a parlargli e ragazzi, che spasso! Voi però non potete immaginare l’epopea per arrivare all’incontro sana e salva…. ma adesso vi spiego (ovvio, no??)

Prima di tutto, devo confessarmi.

Non avevo mai letto nulla di Idefonso e quindi, quando mi è stato proposto di andare all’incontro, dentro di me è partito il classico dibattito. 

“oh, figo! Andiamoci!”
“Si, ok.. ma chi è sto tipo?”
“Boh, lo scopriremo in questi giorni!” 
“L’evento è tra tre giorni, come possiamo arrivare preparati?” 
“Stufoso che sei! Non bisogna essere delle cime per documentarsi un pò” 
“Eh, non ci vorrà na cima, però novecento pagine mica riusciamo a leggerle!” 
“Quindi? Tommaso già lo sa. Mica è scritto nel contratto… e poi, vuoi mettere? Possiamo conoscerlo!” 
“Si, bello. Se poi scopriamo che è un buzzurro antipatico?” 
“Ma perchè tutti gli sconosciuti devo esser classificati così?” 
“Perchè sono realistico..” 
“Stufoso sei! Noi ci andremo. Punto” 
“Ma no! Che figura ci facciamo poi?” 
“Figura con chi? Conosciamo almeno la metà dei partecipanti” 
“Appunto. No, non ci andiamo!” 
“Contaci…”

Diciamo che solitamente, ho Mimì e Cocò che battibeccano nella testa ma giovedì sera, dopo aver bevuto un paio di birre e aver brindato con un bicchierino di non so che cosa, la decisione è venuta da sè…. Non avevo contato però un piccolo dettaglio. 

Solitamente entro in ufficio alle 9 ed esco alle 18. 

Facendo la pendolare, non ho grossi problemi ma prendere un’ora di permesso, mi sembrava un pò ridicolo… così, chiedo candidamente a Fidanzato di alzarsi un’ora prima per essere in ufficio ad un’orario decente. Ovviamente lui, che mi supporta sempre, ha accolto con entusiasmo la cosa! 

“Moruccio, non è che caso, lunedì riusciamo ad uscire un pò prima da casa?”
“… quanto prima?”
“Ehm… un’oretta…”
“Che cav… Chi devi incontrare?”
“Uno scrittore”
“Ovviamente…”

Io so di avere un Fidanzato magnifico. Infatti sono arrivata corretta in ufficio, per poter uscire prima ma lo sapete vero, che la sfiga è la mia ombra?
No?
Strano!
Perchè ovviamente, alle 16.50 spaccate, arriva la chiamata disperata di uno a cui devo sistemare la vita. Mica robina veloce da nemmeno due minuti di chiamata! Quasi venti minuti di puro sclero e conseguente ritardo. Ovvio. 

Ovvio anche che io sapevo dove andare, eppure mi sono persa comunque. 

Dovevo recarmi in albergo e non uno piccino ed insulso inculato chissà dove ma all’Hotel Principe di Savoia che per chi non lo sapesse è grande e grosso! Eppure… 

Però, anche se con del ritardo, non ho interrotto nulla perchè tutti erano ancora a prendere il caffè.

Che culo. 

Credo che Idefolso non fosse stato “preparato” alla quantità di ragazze. 

Eravamo in sette su otto “intervistatori” ma dopo un secondo di sorpresa… ragazzi, che tipo! Non bello, per me ormai è troppo maturo ma i modi… Non potete capire! 

Tralasciando il fatto che sentirlo parlare in spagnolo, per me è na roba che non posso nemmeno spiegarvi ma è stato gioviale, sempre sorridente e premuroso (soprattutto con Elisa che aveva una tosse micidiale!).

Mimì e Cocò sono tornati a farsi sentire, tanto per non farmi sentire sola ma sappiate che qualche battutaccia è venuta fuori anche tra alcune di noi, senza farci sentire (troppo) dal resto dei partecipanti! 

Sono felice di esserci andata. 

Mi sono fatta conquistare dalle parole di Ildefonso e mi è nata quella voglia sincera di scoprire cosa succederà al protagonista Hugo. 

Qui sotto vi riporto parte dell’intervista che è stata registrata e trascritta da Elisa (per averla completa, ovviamente dovrete passare da lei su Devilishly Stylish).

*non sono solita riportare le interviste degli altri ma in questo caso ho dovuto fare un’eccezione. Elisa è sempre molto accurane in queste cose e l’ammiro molto quindi, tutto il merito va a lei!

Cosa succede quando si torna a parlare di un mondo che ai lettori è piaciuto così tanto? 

Si avverte molto la pressione di dover piacere tanto quanto la prima volta?

No, perché non credo sia possibile lavorare sotto una simile pressione, è impossibile. 
Non si può pretendere sempre di superare i record già raggiunti. 
Bisogna dedicarsi anima e corpo a ogni nuovo progetto, essere soddisfatti di quello che si è fatto; poi, se il nuovo progetto avrà lo stesso successo del precedente andrà benissimo, altrimenti pazienza. 
Se poi andrà meglio, sarà meraviglioso. 
Bisogna assolutamente dimenticarsi della pressione. 
Io ho lavorato trentacinque anni come avvocato e ho imparato qualcosa da questo mestiere: puoi vincere un primo processo, poi un secondo e un terzo, ma prima o poi arriverà una causa che perderai, perché non si può vincere sempre. 
Devi essere in grado di incassare anche una sconfitta, quando sai di aver dato comunque il meglio di te stesso.

Perché è difficile oggi trovare dei romanzi basati come i suoi su principi come impegno, volontà, bontà? Pensa prima ai principi su cui costruire la storia o viceversa?

I principi illuminano tutto il romanzo. I miei personaggi non potrebbero funzionare secondo quei  principi  che contribuiscono a creare una maggiore empatia da parte del lettore. È normale che i personaggi abbiano in sé determinate virtù come essere leali, lavorare per la famiglia e i figli, lottare per le ingiustizie, tutte cose che dobbiamo affrontare anche noi nella nostra quotidianità, ricordandoci però che i mali estremi contro cui si ritrovano a lottare i protagonisti non sono certo gli stessi con cui dobbiamo fare i conti noi oggi. 
Trasferire tutte queste qualità umane in una trama è quello che io penso di fare, e non credo che potrei inventare personaggi con qualità diverse, o scrivere storie con meccanismi differenti, ma non credo nemmeno che susciterebbero lo stesso tipo di interesse in chi legge. 
Penso che la maggior parte dei lettori provi una maggiore empatia per i personaggi che agiscono secondo sani principi, soprattutto se sono sfortunati.

Sarebbe in grado di ritrovare nella Barcellona contemporanea i valori e i principi su cui costruire i suoi personaggi?

Sì, credo, di sì. Barcellona è una grande città, come Milano.
La trama fittizia del romanzo storico si potrebbe adattare anche al ventunesimo secolo, magari lasciando perdere le carceri che oggi non sono più come quelle che ho descritto nel quattordicesimo secolo, ma anche oggi esistono delle forme di schiavitù. Io parlo di passioni umane, d’amore, di sesso, di vendetta e di sentimenti, e tutte queste cose sono sempre le stesse anche oggi,  anche se i principi del lavoro, dell’impegno, e della lotta oggi si stanno perdendo un poco. Nei giovani la necessità di lavorare e d’impegnarsi sembra aver lasciato il posto ad atteggiamenti diversi, come aspirare a creare una “app” da vendere a una società informatica per una cifra da capogiro, risolvendo così la propria vita: ma questo succede a pochissimi, mentre tutti gli altri devono comunque rimboccarsi le maniche e lavorare.

Ha mai pensato di ambientare un romanzo nell’epoca contemporanea?

Sì, ne ho anche scritti, ma sembra che nessuno li voglia. Nel corso della mia vita ho scritto diversi romanzi contemporanei e ho anche cercato di venderli, ma senza risultato, così ho deciso di provare col romanzo storico. Ci sono voluti comunque tre anni per trovare una casa editrice per La cattedrale del mare. In quel periodo avevo scritto un altro romanzo, che ho proposto poi all’editore, ma non c’è stato nessun interesse da parte sua. Visto che a me piacciono il romanzo storico e la casa editrice, e che piaccio al pubblico, non vedo più motivo per incaponirmi a scrivere romanzi contemporanei che non interesserebbero a nessuno.

Ha mai pensato di ambientare un romanzo in Italia o le piacerebbe? E se sì, in quale periodo storico?

Mi piacerebbe, e credo che questo piacerebbe molto anche al mio editore italiano,  ma ho due problemi: il primo è che ci sono già ottimi romanzieri storici italiani, che conoscono il paese meglio di me, e il secondo è che io lavoro con una grande quantità di documentazione, consultando fino a duecento libri per ogni romanzo, spesso scritti in uno spagnolo ormai desueto, ma non conoscendo l’italiano difficilmente potrei accedere alle informazioni contenute nei vostri libri, soprattutto se scritti in italiano antico. Comunque non escludo niente: magari potrei farmi aiutare da qualcuno nella fase di documentazione.

Il suo lavoro di avvocato incide su o influenza in qualche modo la sua scrittura?

Quasi per niente. Certo, mi ha fatto conoscere tante persone con i loro diversi problemi, ma la professione d’avvocato è estremamente pragmatica, lui deve far prevalere gli interessi del suo cliente su quelli degli avversari. La professione dello scrittore invece è estremamente creativa,  diritto e letteratura sono due mondi diametralmente opposti e i linguaggi non coincidono: è impensabile scrivere un romanzo nello stile usato dagli avvocati per rivolgersi ai giudici. La formazione da avvocato forse mi è tornata utile come metodologia, riguardo alla consultazione e alla ricerca.

Ultima domanda: negli ultimi anni sono esplosi molti “baby scrittori”, persone che prima dei vent’anni hanno già pubblicato un bestseller e sono diventati famosi. Quanto ha influito positivamente in lei il fatto di pubblicare per la prima volta non più giovanissimo, quindi con un’altra testa, un’altra maturità? Cosa sarebbe stato diverso se avesse ottenuto prima la fama del suo primo romanzo?

Forse, se avessi avuto successo con La cattedrale del mare a vent’anni non avrei scritto altri romanzi. Più che uno scrittore tardivo, io sono stato uno che ha pubblicato tardi, perché in realtà scrivevo da sempre. Sicuramente, la stabilità emotiva che avevo a quarantasette anni, con una famiglia e quattro figli e una carriera da avvocato ben avviata, mi hanno fatto capire che come scrittore avevo una libertà totale: potevo farlo oppure no, perché il mio futuro non dipendeva da quello. Del resto, vediamo cosa succede a persone che hanno successo molto presto, come i calciatori: a volte perdono un po’ la bussola di fronte al successo.
Io mi ritengo soddisfatto per come sono andate le cose, che poi a 47 anni non ero poi così vecchio … adesso ne ho 57 e spero che me ne restino un bel po’ ancora da vivere!

Barcellona è in preda al terrore e ognuno pensa ai propri interessi

Gli eredi della terra di Ildefonso Falcones
Foto gruppo blogger presenti durante Ildefonso Falcones