Roberto Costantini [INCONTRO/20]

Roberto Costantini [INCONTRO/20]

Aba è un personaggio molto attento all’osservazione della procedura nell’ambito del suo lavoro, ma allo stesso tempo, è molto rigorosa anche al rituale nel privato. Quanto tempo hai dedicato alla costruzione del personaggio, per far si che tra procedure e rituali riuscissero a coesistere e risultare reali? 

Questo libro riguarda il personaggio, il titolo stesso è centratissimo: questo libro è su una donna. Potrebbe essere una storia d’amore dell’800, potrebbe essere ambientato su un’astronave ma ho deciso di creare una spy story che è comunque solo uno sfondo. Aba è costretta a vivere due vite diverse: da un lato la vita della normalità, quella in cui vive gli affetti, e dall’altra, quella di avere un lavoro complicato e riuscire a tenere in bilico entrambe le cose. Cosa che fanno moltissime donne. La sua particolarità è che il suo lavoro è un po’ più complicato e soprattutto segreto. Ed essendo segreto per lei le procedure e i rituali diventano fondamentali. Non può comunicare a nessuno quello che fa e il rituale è un po’ una barriera di sicurezza che in qualche modo rende credibile il suo essere “normale”. Le procedure che cosa sono? Nei servizi segreti, un posto estremamente gerarchico, ci sono delle procedure che vanno seguite. La procedura non sempre segue la tua etica personale e finché vanno in parallelo, non si creano problemi. Ma in questo libro, a un certo punto, procedure e ritualità arrivano al collasso. 

E quanto nella tua vita personale hanno importanza i rituali e le procedure?

Sono ingegnere, tutto quello che è consequenzialità fa parte del mio pensare. Le procedure, dal mio punto di vista, sono una cosa che mi aiutano sempre ma non quando devo scrivere qualcosa, perchè a quel punto mi si impone di uscirci. Quando si scrive un giallo o una spy story, c’è sempre un’azione a cui corrisponde una reazione e questa dinamica è un po’ la procedura. La procedura che poi si scontra con la realtà dei personaggi, perchè per trama dovrebbero fare una determinata cosa, ma tu sai che a quel personaggio non va di farla e allora devi cambiare tutto perchè non puoi forzare un’azione, perchè si vede.

Aba è ispirata a qualche persona? Hai sempre avuto in mente di creare un personaggio femminile? 

Aba è la mia forma di ribellione all’immagine della donna della televisione e del cinema dove tutto ciò che è donna è sentimenti e io non volevo fare una donna sentimentale. La cosa che mi disturba di più è il modello con cui, sia letterariamente ma ancora di più cinematograficamente si continua a banalizzare la donna. La donna non sta sempre lì a piangere e cucinare come in certe serie televisive, e Aba è la mia sfida.

Le donne sono perfettamente in grado di essere razionali, lucide, precise, fredde, determinata quanto e più di un uomo.

È un romanzo molto documentato, quanto tempo ci hai messo a documentarti sui servizi segreti e sul terrorismo islamico per riuscire a rendere questo libro così credibile?

I servizi segreti per loro natura sono segreti, quindi per scrivere un libro credibile su di loro è necessaria la loro collaborazione. Mi hanno aiutato sia sulle procedure interne ma anche per entrare meglio in alcuni meccanismi riguardati il terrorismo islamico.

Aba si occupa di gestire gli infiltrarti nelle mosche italiane, un’occupazione davvero difficile perché devi trovare qualcuno già all’interno della moschea e portarla dalla tua parte.

C’è un aspetto di conoscenza tecnica e uno di conoscenza dell’ambiente e dei libici, perchè io lì ci sono nato. Ho ancora amici che vivono a Tripoli, a Misurata e a Bengasi con cui parlo regolarmente e so da loro qual è la situazione.

Che cosa ti ha spinto a scrivere realmente?

A 16 anni ho mandato a uno dei più grandi giornalisti italiani alcuni articoli su come il calcio in Libia era l’unico strumento di integrazione tra i libici e gli italiani. Pensando che non mi avrebbero mai risposto e, invece, è arrivata una telefonata in cui mi dissero che scrivevo molto bene e che avrebbero pubblicato i miei articoli, pagandomi! Ho sempre avuto una passione per la scrittura, nata anche dalla passione per la lettura. Ho sempre letto tantissimo e quando tornavo da scuola avevo un sacco di tempo libero che impiegavo leggendo.

Poi sono diventato ingegnere e nel mio lavoro, viaggiando ho sempre raccolto un sacco di idee. Però tra una storia in testa e una storia scritta ci passa davvero tantissimo tempo. Vi racconto un fatto: non ho mai avuto problemi a dormire fino a quando non ho iniziato a lavorare per una delle maggiori società che gestiscono le slot machine e mi sono ritrovato ad avere a che fare con la malavita. Così ho iniziato a non dormire la notte, e nel 2009, dopo anni che avevo in mente La trilogia del Male mi sono ritrovato a scrivere quando non dormivo. 

Ringrazio di cuore la Longanesi per avermi permesso di incontrare e conoscere Roberto Costantini. Trovo che la sua missione nel riscrivere la figura femminile, uscendo dai canoni odierni, sia molto difficile ma anche estremamente coraggiosa e per questo, merita molto rispetto. 

Intanto, per i lettori che si erano innamorati di Balisreri, è stata lanciata una sfida. In questo nuovo libro, c’è un vecchio personaggio e per la persona che saprà scovarlo, ci sarà un premio! Forse una copia cartacea o magari, una cena direttamente con l’Autore. 

Curiosi?

Roberto Costantini_Autor
Una donna normale di Roberto Costantini

Wolf Dorn [INCONTRO/19]

Wolf Dorn [INCONTRO/19]

Partiamo dal titolo Presenza Oscura, nonostante nei romanzi l’oscurità è contrapposta alla luce, nel romanzo c’è come un rovesciamento tra luce ed oscurità, nella nostra concezione la luce è il bene, e l’oscurità il male, in questo caso la luce è la fine del percorso, restare aggrappati all’oscurità vuol dire in realtà riuscire a tornare alla vita. Volevo sapere se questo rovesciamento di luce ed ombra è stata una dinamica su cui pensavi di lavorare visto che nei tuoi romanzi l’oscurità è sempre presente.

Ho pensato parecchio ad un titolo per questo libro, il mio titolo iniziale era “21”, nei miei libri gioco volentieri con i numeri, e il 21 in questo libro ha vari significati, sono, sia i ventuno minuti di morte di Nikka, ed un’altra cosa che cito nel libro sul peso dell’anima, i 21 grammi dell’anima, ma il titolo 21 rea preso già da tempo, ed io e la mia editrice abbiamo pensato che questa potrebbe non essere l’unica  storia di Nikka, che possano esserci dei seguiti, quindi abbiamo deciso di aggiungere un sottotilo, e quindi in lingua tedesca il titolo è “21_Oscuro Accompagnatore”, mi ha davvero stupito e fatto  piacere leggere il titolo italiano, mi piace moltissimo, ed è vero che c’è questo gioco tra luce ed ombra, penso che noi tutti abbiamo in testa delle immagini fisse, e la luce è sempre la cosa buona, e l’ombra quella cattiva, questa storia gioca anche con la realtà, con quello che potremmo definire la fantasia, quello che ho imparato nei miei tanti anni di lavoro in ambito psichiatrico, ho imparato che la nostra percezione di quello che è reale e normale rispetto  a ciò che non è reale ed è falso, e una linea sottilissima. Proprio perché questo confine è cosi sottile non possiamo sempre distinguere bene le due cose. Può anche significare che la luce non è una cosa buona, e che ciò che è buio non è sempre una cosa cattiva, ed e proprio perché questo libro ruota intorno alle percezioni è interessante vedere come queste cose possono cambiare posizione, e possono anche non essere sempre neutre. 

Parlaci di Nikka, di come è nato il suo personaggio, io personalmente la adoro, e credo si meriti la medaglia d’onore per la tenacia che dimostra nella storia.

Innanzitutto grazie, sono contento di sapere che Nikka riscuota tutto questo successo! I miei protagonisti sono per me come fossero dei miei figli, e quando trovano così tanti amici, io come padre, non posso che esserne felice. Nikka nasce in questo modo, volevo scrivere una storia sulla morte e sul morire, e come in tutti i miei romanzi cerco un protagonista che sia qualcuno che a priori c’entra il meno possibile con la storia, questo crea dei conflitti, e i conflitti portano avanti la storia. Ed è per questa ragione che ho scelto una persona molto giovane, una persona giovane certamente non pensa già alla morte, ma pensa al futuro, a quello che ha da proporle, a ciò che si vuol diventare strappare una persona cosi alla propria vita, crea questo conflitto, che poi dà il via a tutta la storia, ecco perché era importante che io scegliessi una persona così giovane per questa storia, perché una persona giovane sperimenta una serie di cose per la prima volta, noi adulti abbiamo  già un certo bagaglio di esperienza, e sappiamo già cosa può essere pericoloso, e grazie all’esperienza acquisita, e sappiamo anche  come regolarci in certi momenti di difficoltà, un giovane  queste cose  non le sa ancora ed è per questo che ha un punto di vista diverso rispetto alla vita Possiamo dire che ho voluto un avvicinamento naif per un certo argomento, ed io volevo proprio avvicinarvi in questo modo alla storia, ed è per questo che Nikka è così importante. 

Parlaci del personaggio di Sascha, ti sei ispirato a qualcuno per il suo personaggio? E perché proprio questo binomio tra D.J ed infermiere? 

Anche Sascha ha un concepimento piuttosto lungo, doveva essere un personaggio che doveva combinarsi bene con Nikka, Nikka ha una personalità molto forte, Sascha è un giovanotto molto sensibile, e d’altra parte non doveva essere un fifone, infatti è un personaggio forte, la sua forza è nascosta sotto vari strati di timidezza, è anche un ragazzo esile, magrolino, ma nonostante tutto è quello che riesce a rianimare Nikka per 21 minuti, tenendola in vita. In questo caso abbiamo una personalità molto forte, e che si abbina benissimo alla personalità di Nikka. Quando ho iniziato a penare come mettere insieme questi due personaggi, mi sono chiesto ma come fa uno come Sascha a trovarsi lì, ad una festa, nel momento in cui succede quel che succede a Nikka? Visto che nei miei libri la musica ha sempre un ruolo importante per me, lavoro spesso tanto volentieri con citazioni di canzoni, ed è per questo che mi è venuto in mente che Sascha avrebbe potuto essere un D.J, e mi è sembrata un ‘ottima idea! 

Quando si pensa ad un Thriller, inevitabilmente lo si associa a stati d’animo come paura, ansia, angoscia… Invece mi ha stupito associare a Presenza Oscura, oltre quello elencato prima, la parola amicizia, amicizia tra Nikka e Zoe o tra Sascha e Ivo, perché tutta questa forte amicizia? Da dove arriva? 

Credo che quando si scriva una storia sulla morte, sia anche però una storia sulla vita, quindi mi si poneva la questione  di quali sono le cose più importanti nella vita, e cosa sono amore e amicizia, ed è per questo che l’amicizia ha un ruolo  così importante in questo libro, perché assieme all’amicizia c’è anche la paura di perder l’amico, cosi come in amore il proprio campagnolo persone importanti che fanno parte della nostra vita, penso che avere amici sia un arricchimento enorme ed è per questo sicuramente che Presenza Oscura è anche un libro che parla di amicizia 

Puoi parlarci del rapporto con la morte? Del morire, e la morte, nel caso di  Presenza Oscura in questo caso non è nulla di angosciante, è come se fosse un invito a vedere la morte come parte della vita… 

Se Presenza Oscura, spinge il lettore a riflettere sulla nostra esistenza, allora questo libro ha già raggiunto molte cose, perché credo che finché viviamo  e le cose vanno bene, tendiamo a dare per scontato tante cose, e passare oltre ad un sacco di  piccolezze della nostra esistenza, ma se riusciamo  a vedere  la nostra esistenza e, a capire che tutto ha una fine, riusciamo ad essere più attenti e, ad essere grati di quello che abbiamo e forse anche più felici. Quindi, quello che alcuni definirebbe un “Memento Mori”, in realtà non vuole ricordarti che dobbiamo morire, ma al contrario vuole spingerti ad apprezzare di più quel che abbiamo, e se riuscissimo a vivere la nostra esistenza in armonia con noi stessi, credo che non sia necessario aver paura della morte. 

Parlaci di Vanessa, non ti sembra di essere stato un tantino cattivo con lei? 

E’ una cosa che non potevo evitare, perché Vanessa incarna un certo tipo di atteggiamento, ed è per questo che ritenevo importante che nella storia ci fossero due gemelli, abbiamo Zoe, che è totalmente vitale, si gode la vita, è felice, sana, ha dei bravi genitori, è felice, invece Vanessa, è l’esatto contrario, Vanessa non è in grado di giungere a patti con la realtà, diventa astiosa, aggressiva, ed è per questo che mi ha permesso di rappresentare quello che dicevo prima, la luce. l’ombra, troveremo sempre qualcuno  di cui pensiamo  che sia dalla parte Illuminata, dalla parte del sole, ma quello che non dobbiamo fare, è comportarci come Vanessa, ed essere cattivi, aggressivi, dobbiamo sempre sapere che c’è qualcosa di buono nella vita, e noi dobbiamo essere in grado di riconoscerlo e anche di saperlo valutare, lo vediamo alla fine anche con Vanessa quando esce con Nikka e scopre quante cose belle ha la vita da offrire… Però noi autori, a volte, siamo un po’ cattivi con i nostri personaggi e dobbiamo farli soffrire un po’ affinché esista una storia. 

Non hai avuto timore ad affrontare una tematica che spaventa, fa paura come il tema della morte? Ha pensato a noi lettori, e che potesse far paura leggere di una tematica che spaventa così tanto? È un tema cui volevi e sentivi la necessità di voler raccontare? 

Si ho avuto paura che per il lettore non fosse facile, perché nella vita vorremmo sentir parlare di molte cose, ma non certamente della morte o del morire, se uscissimo normalmente una sera, potremmo parlare di un sacco di cose, ma dubito che ci metteremmo a dire: ma tu come te lo immagini il trapasso? E questo sicuramente anche per il motivo che all’interno della nostra società la morte resta sempre un argomento un po’ tabu’. In altre culture se andiamo a guardare, la morte fa parte della quotidianità, per esempio in sud America c’è El Dia de los Muertos dove si festeggiano i defunti, i giapponesi nel fine settimana vanno al cimitero e fanno il picnic sulle tombe dei loro morti per ricordarne e comprenderli nelle loro esistenze. E quindi il ruolo della morte all’interno della società dipende proprio dalla società. Quando sono andato dalla mia editrice e le ho detto di avere una nuova idea per un nuovo libro, e lei tutta contenta mi ha chiesto di cosa si trattava, ed io le ho risposto che avrei parlato di una ragazza che avrei fatto morire esattamente alla pagina numero uno…. Inizialmente è rimasta senza parole, poi ovviamente le ho raccontato come intendevo portare avanti la storia, e sono felice di poter dire che ha avuto coraggio di darmi l’ok. So dai miei lettori che mi hanno scritto, che non sanno se leggeranno questo mio libro, proprio per via dell’argomento, però, forse, magari proprio grazie attraverso i vostri blog, riusciranno a trovare il coraggio di dare un’occhiata al libro e vedere se vale la pena rischiare di leggere Presenza Oscura.

Wolf, cosa puoi dirci dei tuoi futuri progetti, c’è già qualcosa in cantiere? 

Sì due settimane fa ho cominciato a scrivere il mio nuovo romanzo e vivo molto a Fahlenberg, e il prossimo anno sarà un anno speciale e particolare, sarà il mio decimo anniversario in Italia, La Psichiatra  compirà dieci anni, ed è il libro per il quale ricevo così tanta posta dai miei lettori, e molti mi chiedono se un giorno ci sarà un seguito ,ed è per questo che adesso sto scrivendo il seguito della Psichiatra, momentaneamente sulla prima pagina c’è scritto solo La Psichiatra due, non posso ancora promettervi che l’anno prossimo sarà pronto, ma questo sicuro è in cantiere, e spero che sarà il prossimo libro di cui la prossima volta ne parleremo tutti insieme. So che sto calpestando un terreno pericoloso, perché la Psichiatra per molti lettori, ha un significato particolare, e continuare una storia di questo genere con il rischio che il seguito non piaccia, però credo di avere un’idea per cui questo seguito potrebbe funzionare, perché sono rimasti dei punti non chiariti, in cui credo di riuscire a dare delle risposte. Poi scriverò ancora di Nikka sicuramente..

Wolf, a me, come credo alla grande maggioranza dei tuoi fans, piacerebbe vedere una trasposizione cinematografica, a mio avviso questa storia si presta perfettamente per un eventuale film, tu cosa ne dici? 

So che qualcuno ha contattato la mia agente per acquisire i diritti del libro per un film, ma al momento non so dirvi di più…

Wulf Dorn-Autor
Presenza oscura di Wulf Dorn

Serena Venditto [INTERVISTA/19]

Serena Venditto [INTERVISTA/19]

Buongiorno Serena, grazie per il tempo che ci stai dedicando.

Buongiorno a te, e grazie!

Partiamo un po’ dalle origini e raccontaci da dove nasce la tua passione per la scrittura.

Come nasce a tutti, dall’amore per la lettura. Mi è sempre piaciuto scrivere, avevo scritto qualcosa da ragazzina, ma senza grande costanza. Poi ho conosciuto Aldo Putignano e il laboratorio di scrittura creativa Homo scrivens, che è anche la casa editrice con cui ho esordito e con cui tuttora collaboro. Il laboratorio mi è servito molto per leggere in maniera diversa i classici e per darmi un po’ di regolarità nella scrittura, e poi in generale è divertente confrontarsi con altre persone che coltivano lo stesso tuo interesse per la letteratura. Continuo a seguire il laboratorio, Aldo l’ho addirittura sposato, pensa…

Com’è nato Mycroft ed il resto della banda?

Il gatto e i quattro coinquilini hanno una genesi diversa, si sono incontrati solo in un secondo momento.

Il micio con il nome del fratello di Sherlock Holmes è nato durante un esercizio del laboratorio di scrittura Homo Scrivens: bisognava inventare un detective e la sua spalla. Quasi per scherzo scrissi un racconto su questo gatto detective, e funzionava. E poi i gatti sono fatti così, si prendono tutto lo spazio che vogliono, senza chiedere il permesso. Può sembrare surreale, un gatto che investiga, ma in realtà non fa nulla che un gatto normale non farebbe. Per dirla con Marco Malvaldi, che mi ha firmato la fascetta: “Se siete disposti a credere che un gatto possa aiutare una traduttrice a indagare su un delitto, questo libro fa decisamente per voi. Se non siete disposti a credere a queste cose, scusate, ma che leggete a fare?”. L’idea della “casa mundo”, invece, viene dalla mia esperienza universitaria. Ho studiato Lettere classiche all’Orientale, a Napoli, dove c’è un’offerta linguistica unica in Europa, per cui ho conosciuto persone che venivano da ogni parte del mondo, entravo in queste case colorate, divertenti, in cui nessuno era napoletano, ma ognuno lo diventava a modo suo. Era un ambiente stimolante, e quindi gradualmente è maturata l’idea di una casa di amici che indaga: tipo Friends, però col morto. 

Quanto c’è di te in Malù?

È ispirata a me solo in quanto archeologa, lei è molto più scaltra e intraprendente, è dotata di una capacità analitica incredibile, tagliente. Quasi pericolosa per lei. Lei è molto brava ad applicare quello che abbiamo studiato all’università. Del resto, il metodo investigativo è molto simile, quasi sovrapponibile a quello archeologico: si tratta di ricostruire una sequenza di azioni da tracce materiali che queste azioni hanno lasciato. il tempo intercorso fra le suddette azioni e la ricerca cambia, ma non cambia il modo di guardare, naturalmente.

Quanto sono cambiati i personaggi dal primo al secondo libro?

Come gruppo sono più coinvolti nelle indagini, sono più squadra, mentre in Aria di neve seguivano Malù, ora prendono anche delle iniziative.

Sapevi già che sarebbero stati più libri?

Sì, l’avevo pensato. Il giallo si presta alla serialità, è nella sua natura. 

Come scegli i misteri da raccontare? Quanto tempo fai passare tra la fine di un libro e l’inizio del successivo?

Per scrivere un giallo parto dalla fine, ovvero dal modo in cui il colpevole viene scoperto. E poi si va a ritroso. È il modo migliore per non fare errori e perdersi i pezzi per la via. In Aria di neve giocavo con un classico del giallo dell’età dell’oro, il delitto della camera chiusa, mentre stavolta è un delitto in codice. Quanto tempo? Non tanto. Dopo un po’ sento il bisogno di tornare a Via Atri!

Quando sei arrivata in Mondadori, avevi alle spalle già un libro. Com’è stato passare da una Casa Editrice all’altra?

Stordente. È bellissimo vedere il mio libro in vetrine di librerie dove non ho mai messo piede, ricevere mail e messaggi di congratulazioni, inviti a presentazioni. È un’ebbrezza unica. Ti confesso che all’inizio ero terrorizzata. Passavo da una casa editrice a dimensione d’uomo alla più grande d’Italia, mi girava la testa. Temevo che sarei stata un pallino nel mare infinito delle pubblicazioni Mondadori. E invece lavoro con dei ragazzi fantastici, attentissimi, sempre presenti, con cui si è creato anche un bel rapporto d’amicizia. Insomma, non è stato traumatico come temevo.

Il tuo primo libro, Le intolleranze elementari, racconta la storia del legame di tre donne, mentre adesso sei passata ai gialli. Questo cambio è dovuto ad una voglia di mettersi in gioco con qualcosa di nuovo oppure stavi solo trovando la tua vera strada?

Non è un cambiamento repentino come sembra, a vedere bene questi libri hanno molto in comune. C’è un filo che lega il bar Hearts e l’interno 5 di Via Atri 36, e cioè il gruppo, le dinamiche fra le persone, amici, amanti, fidanzati. L’idea che è il gruppo che ti salva, molto più dell’amore, il potere dell’amicizia. Il fatto che siano commedie, quindi con un approccio lieve, ironico, l’ambientazione un po’ “studentesca”. Insomma, il fatto che poi abbia deciso di parlare di morti ammazzati non cambia di molto il percorso, anche perché io non ho una scrittura nera, anzi, uso una cifra ironica. La cifra ironica che poi è anche quella del giallo classico, dove non manca mai: vedi Poirot, Padre Brown, Nero Wolfe. E a pensarci non è un caso: dove c’è ironia c’è intelligenza, e se questa manca non si può risolvere un caso.

Progetti per il futuro?

Scrivere ancora, ovviamente, del gatto e non!

Serena Venditto_Autor
L'ultima mano di burraco di Serena Venditto

Manlio Castagna [INCONTRO/19]

Manlio Castagna [INCONTRO/19]

Partendo dal principio, inizialmente hai scritto sceneggiature per il cinema e poi romanzi. Che differenze ci sono in questi due campi e quali sono le difficoltà? 

Come dice Pasolini, la sceneggiatura è una struttura che tende a un’altra struttura, non è un’opera che finisce lì dove vai a scrivere, è qualcosa che è fatta perché poi diventi un’altra cosa, quindi lo stile è importante ma, nei dialoghi, mentre nell’azione poi essere anche più sciolto, più superficiale.
Nella stesura del romanzo invece, devi far vedere al lettore un ambiente, un personaggio, una situazione, e questo è stato il primo scoglio da superare. La difficoltà maggiore è far vedere attraverso le parole, e non attraverso il mezzo filmico. Una delle cose a cui tenevo era mostrare in questa trilogia i diversi modi in cui le persone possono piangere, perché mi affascina molto questo aspetto, i tanti modi in cui uno scrittore può raccontare del pianto.

Rimanendo in tema scrittura, ti è sembrato che il tuo stile sia cambiato dal primo al secondo libro?

La scrittura è cambiata tantissimo, per due motivi: primo, perchè più scrivi, più alleni la scrittura, più diventa facile raccontare le cose. Il secondo è il lavoro fondamentale con gli editor, perché ti fa capire tantissime cose del percorso che stai facendo. L’incontro con i lettori tra il primo e il secondo libro ti fa capire se devi prendere una strada piuttosto che un’altra, e poi per me è stato fondamentale il fatto che in questo anno ho incontrato tantissimi scrittori che sono poi diventati miei cari amici. Quando ti confronti con altri scrittori è inevitabile che la tua scrittura cambi, e nel terzo cambierà ancora, come anche nei miei prossimi romanzi.

C’è una scena nel libro in cui hai usato nomi di colori molto particolari. Come sei arrivato a quella scelta?

Io sono un appassionato di grafica, ho lavorato anche in grafica, ho passato quindi le giornate a guardare i pantoni, i loro nomi, le loro variazioni e dato che sono anche  un maniaco appunto tutto ciò che riverbera nel mio cervello, scrivendo quaderni pieni di parole, o storie di persone che incontro e che mi invento. Questi nomi di questi colori li ho appuntati qualche anno fa sul taccuino dei colori. Niente è caso, faccio tantissime ricerche quindi nessun nome è lì a caso. C’è anche un chiaro riferimento a “La città incantata” di Miyazaki.

Come mai deciso di far ruotare tutto attorno alla Paura?

Se inizio a parlare della paura potrei non smettere più: adoro raccontare ai ragazzi di come sto allenando mia figlia di 3 anni e mezzo allo spavento (infatti mia moglie mi ha detto di darci un taglio), e quando le racconto le storie della buonanotte sono sempre storie di decapitazioni, zombie…. In generale, ho capito che la paura tiene strette le persone quando portavo le ragazze al cinema, al primo appuntamento, e sceglievo un film horror in modo che loro si avvicinassero a me, spaventate. La paura tiene vicini, trovo sia un sentimento affascinante di avvicinamento, è la voglia di trovare un’altra persona con cui condividere e proteggersi. Quello che ci ha fatto evolvere come esseri umani è la paura, perché quando i primitivi hanno capito che insieme si poteva ovviare ai pericoli, si è passati dalla caverna, al comune, alla città, alla nazione. Ormai oggi la paura viene usata, soprattutto a livello politico per chiudersi, non per proteggersi, e questo è uno sbaglio.

Molto caratteristiche sono le ambientazioni che hanno tanto di italiano.

È una scelta molto precisa, perchè l’Italia ha delle potenzialità narrative incredibili. Credo che la provincia italiana sia piena di orrore, perché c’è tanta noia, e dove c’è la noia ci sono i mostri, e dove ci sono i mostri c’è la paura, che mi affascina. 

Quali sono le città che ti hanno ispirato?

Le mie ispirazioni sono le città invisibili di Italo Calvino, che poi sono italiane. Tra queste c’è anche una città piena di aquiloni, come nel mio libro.

Tra le tematiche che ci sono in Petrademone, ci sono ovviamente quelle per ragazzi, ma poiché è un libro che parte dal dolore e dall’elaborazione del lutto, quando hai inserito queste tematiche non hai avuto timore che poi potesse essere limitativo per il tuo bacino di lettori? 

Quando scrivo non parto mai di tematiche, quando le persone mi dicono che hanno apprezzato il tema del coraggio, dell’amicizia o della diversità, io rimango stupito perchè non ci avevo proprio pensato. Non voglio scrivere di valori, ma di storie che siano belle da leggere. Mi interessava, invece, raccontare la morte e la perdita, perché questa serie nasce da una mia perdita molto forte. Per me, i due temi che mi interessano sono la perdita e la memoria, e non mi interessa se un professore dovesse trovare il libro troppo cupo per la sua classe, perché a me piace scrivere di questo. Anzi, quello che sto scrivendo è ancora più dark.

Frida, per non perdere i ricordi, li scrive e li mette dentro uno scrigno. Secondo te, è effettivamente un buon metodo?

Sì, scrivere è un metodo straordinario. Io sono un fanatico del non perdere i ricordi, scrivo tutto sui diari, e questo mi serve molto, è come se affidassi il bello a una entità più affidabile, perchè la memoria è selettiva. Quando si scrive, per necessità si elabora il ricordo, quindi si è costretti ad ampliarlo, ad arricchirlo con altre cose, lo si tradisce anche, e tradire il ricordo non è fargli del male, ma amplificarlo, renderlo anche più poetico. 

Quali sono le grandi difficoltà che riscontri come scrittore nel creare un mondo in grado di catturare l’attenzione da chi è sovrastimolato da altre cose, come film e serie tv?

La vera difficoltà è di essere onesti: quando crei un mondo devi credere in quello che stai scrivendo, non devi essere superficiale. E non significa descrivere ogni cosa nel minimo dettaglio. Inoltre, una serie tv, un film, ti danno una visione passiva, invece andando nelle scuole noto che i ragazzi hanno voglia di immaginare, di completare quello che lo scrittore sta dicendo. Un bravo scrittore, come dice Calvino, deve nascondere le cose, non rivelarle, ed è compito del lettore andare a cercarle. Se il lettore non ha niente da scoprire, lo scrittore ha sbagliato il suo mestiere. Nascondere, però con onestà, dando le chiavi con cui leggere. Io Frida non la descrivo quasi mai, un personaggio deve emergere da quello che fa, ho cercato di darle un volto pagina dopo pagina. Meno descrivi poi è più facile per il lettore immedesimarsi, infatti mi spaventa un po’ l’idea che diventerà un film perché da quel momento Petrademone sarà quei volti.

Parlando di personaggi, qual è il tuo preferito?

Forse Drogo. Che poi, nelle scuole, mi chiedono spesso se mi sono ispirato al Trono di Spade per il nome (Khal Drogo), in realtà no, per niente, perché il nome viene da “Il Deserto dei Tartari” di Buzzati.

Cosa ci puoi anticipare del terzo libro?

È stato il più complesso da scrivere perché ho dovuto concludere tutte le linee, perché odio non chiudere tutte le linee narrative alla fine di una saga. Il finale spero non sia scontato, perché non mi piacciono i finali in cui il protagonista ottiene tutto senza aver perso nulla. Un buon finale deve far sì che l’eroe conquisti il suo premio, però a scapito di qualcosa. E non trovo giusto uccidere tutto i personaggi.

Manlio Castagna-Autor
Petrademone. Il libro delle porte di Manlio Castagna
Petrademone. La terra del non ritorno di Manlio Castagna

Mariafrancesca Venturo [INTERVISTA/19]

Mariafrancesca Venturo [INTERVISTA/19]

«Mi mettono tristezza, sai? Non saprei dirti il perchè. Ma se non altro per una volta puoi vestirti elegante. Sarannodue anni che ho questo vestito nell’armadio e non vedevo l’ora di tirarlo fuori. Dici che è troppo? Forse sì, mache ci importa? Io sono contenta di indossarlo, non troviche mi stia un incanto? Magari mi porta fortuna e mi fatrovare un fidanzato. Se aspetto l’occasione giusta finisceche non lo indosso più. Mia nonna diceva: le occasionite le devi inventare. Cara mia, le nonne sanno sempre dite le devi inventare. Cara mia, le nonne sanno sempre dicosa parlano quando parlano. »

Buongiorno Mariafrancesca, grazie per esser riuscita a ritagliarti del tempo per noi. 
Ieri è uscito il tuo nuovo libro, come ti senti? 

Buongiorno a voi, scrivere un romanzo e vederlo pubblicato da una grande casa editrice come Longanesi è un gran privilegio e sicuramente la gioia e l’attesa sono alte ma dal momento che lo vedi sugli scaffali della libreria capisci che devi lasciarlo andare, che non è più un lavoro solo tuo e di chi con te ci ha lavorato, tutto quello che accadrà a partire da adesso è un compito che spetta giustamente ai lettori. Sono molto curiosa di scoprire come verrà accolto e quali e quante interpretazioni se ne faranno. Il lavoro creativo non si fa mai da soli.

Dopo tanti lavori che hai fatto, come mai hai deciso di diventare insegnante? Soprattutto, quanto è precaria come vita?

Io sono nata in una famiglia di insegnanti: mia madre, mio padre, le mie nonne, gran parte delle mie zie sono state insegnanti e forse un certo condizionamento c’è stato.

Però una certa curiosità è rimasta. Mi sono sempre chiesta: come ho fatto ad imparare? Come sono riuscita ad ottenere i miei risultati? Mi rendo conto che il contributo di alcuni insegnanti nella mia vita sia stato fondamentali.

La scuola offre a tutti la grande possibilità di mettersi in gioco, indagare i propri talenti e di conoscere il mondo attraverso di essi e a saperla sfruttare fino in fondo può essere un’esperienza meravigliosa.

Se poi hai la fortuna di incontrare insegnanti speciali come è capitato a me e per speciali intendo persone con una particolare capacità di ascolto, ci si rende facilmente conto di quanto sia importante questo ruolo nella vita di una persona.

Provengo da una famiglia numerosa e per avere un po’ di autonomia ho sempre lavorato: ho cominciato dal teatro e sono arrivata a scuola.

Ora sono una maestra di ruolo ma la vita da precaria con il telefono in mano pronta ad aspettare la chiamata di una scuola è durata molti anni.

Anche tu, come Carolina, la mattina ti svegli presto per poterti rendere impeccabile? 

Certamente. Arrivare a scuola con un aspetto gradevole anche se nella sua semplicità, lo considero una forma di rispetto nei confronti di chi lavora insieme a me a cominciare dalle bambine e dai bambini.

Come ti è venuta l’idea per questo libro? 

L’idea del libro è arrivata quando ero ancora una maestra supplente. Ho vissuto sulla mia pelle le conseguenze della burocrazia fatta di decreti, punteggi e calendari e ho conosciuto tante colleghe e colleghi pronti a mille sacrifici pur di lavorare a scuola. Capita spesso che il contratto a tempo indeterminato diventi l’ultima delle preoccupazioni quando sei coinvolto nelle storie delle bambine e dei bambini e la voglia di sentirsi d’aiuto sostituisce in molti casi l’ansia per il traguardo personale, almeno fino a quando non suona l’ultima campanella dell’anno. Credo che raccontare questa storia, anche attraverso un romanzo, possa avere la sua importanza.

Cosa vorresti trasmettere al lettore?

Penso che quando la vita ci sfida, che lo abbiamo scelto oppure no, è importante andare avanti pensando a una possibilità di crescita, cercando di perfezionare il passo un po’ alla volta come si fa quando si cammina in salita, correre spediti verso la meta senza andare in profondità non porta quasi mai a grandi risultati.

La protagonista del romanzo, Carolina, inizialmente cerca di non farsi coinvolgere dalle storie dei suoi alunni, anzi, all’inizio fa di tutto per non affezionarsi troppo, per paura di soffrire, ma così perde una parte molto importante del suo lavoro, quella che collega la sua scelta lavorativa alle proprie responsabilità, un gancio importantissimo fatto di motivazione e passione senza il quale un insegnante è inutile.

Nelle tue classi, cerchi di far leggere i ragazzi con qualcosa di attuale? O preferisci attenerti ai classici?

Generalmente non cerco di far leggere nulla. Il mio obiettivo è far si che i bambini si avvicinino autonomamente alle letture che più gli assomigliano e per farlo nel modo migliore è indispensabile porsi in ascolto.

In classe facciamo in modo di avere scaffali ben forniti di tutti i generi di libri, dalle fiabe alle biografie, dai testi scientifici ai romanzi fino ai più importanti dizionari e con le mie colleghe cerchiamo di alimentare curiosità, invitiamo scrittori in classe, organizziamo visite nelle biblioteche e nelle librerie di quartiere, facciamo tante domande e affrontiamo i temi più vari per capire dove i bambini vadano a cercare le risposte.

La libertà di scelta nasce prima di tutto dalla conoscenza e dal rispetto.

Poi amo le letture ad alta voce e spesso in classe leggo. Lo consideriamo un bel regalo e lo faccio non per convincere i bambini che il libro che ho scelto io sia per forza bello ma per mostrargli la mia voglia di leggere, la mia personale passione per il libri e le storie.

Cosa ne pensi della lettura digitale? 

Credo, come tanti, che ci siano pro e contro. Da un lato il libro digitale ci consente di risparmiare carta e di portare con noi, in un unico dispositivo, una gran quantità di testi ma dall’altra ci fa perdere il contatto con la sua consistenza fatta di pagine, inchiostro, profumo, una consistenza che ci ricorda una certa incorruttibilità nel tempo. Lo hai letto, forse dopo un po’ lo dimentichi, ma lui rimane lì, in attesa di essere sfogliato un’altra volta, a portata di mano come un pezzo di memoria indelebile con le sue pagine fruscianti che puoi toccare tutte in una volta.

L’e-book mi dà l’idea che possa svanire improvvisamente, una sensazione di precarietà che non so decifrare.

Insomma, ancora non sono riuscita a leggere un libro digitale.

Stai già pensando ad un nuovo libro o preferisci goderti ancora per un po’ questo?  

Sto prendendo appunti, un’idea c’è.

Mariafrancesca Venturo_Autor
Speriamo che il mondo mi chiami di Mariafrancesca Venturo