Sara Rattaro [INCONTRO/17]
Sara Rattaro [INCONTRO/17]
«Non brevetterò il mio vaccino» annunciò poi, «voglio che tutti possano averne una dose gratuitamente e il prima possibile. Il nazismo ha sterminato la mia famiglia, la mia vendetta sarà salvare i bambini di tutto il mondo.»
Sono finalmente riuscita a rivedere Sara Rattaro.
Ormai è un anno che seguo le sue pubblicazioni e proprio per questo, ieri ci siamo riviste. “Il cacciatore di sogni” è il suo ultimo lavoro e rispetto al solito, il target è differente.
Questa nuova storia parla di un ragazzino con un grande sogno, che per caso viene a conoscenza di Albert Bruce Sabin.
Quando le è stata proposta questa avventura, per quanto diversa dal suo solito, non si è lasciata intimorire.
Da bambina, i suoi Eroi erano spesso persone “normali” e non esseri inventati dalla mente dei grandi. Quindi, ha avuto poche esitazioni su cosa raccontare.
Il 4 luglio 1984, suo nonno, indignato per la troppa attenzione dei Media sul giocatore di calcio Diego Armando Maradona, le racconta chi sia Albert Sabin e, come il suo giovane protagonista, ne rimane affascinata. L’uomo, oltre ad esser stato colui che scoprì un vaccino efficace contro la poliomielite, fu anche una persona normalissima ma quel particolare giorno, nessuno lo riconobbe.
WIKI-Ebreo, nacque nel 1906 nel ghetto di Białystok, una città polacca che all’epoca faceva parte dell’Impero Russo, emigrò negli Stati Uniti nel 1921 con la sua famiglia, dove, nel 1930, acquisì la cittadinanza statunitense. Il padre Jacob, un artigiano, decise di lasciare la Russia anche perché il clima verso gli ebrei era diventato molto pesante, e lo stesso Albert aveva fatto le spese di questo clima; sin dalla nascita Sabin non vedeva dall’occhio destro, e quando era ancora piccolo un coetaneo gli scagliò contro una pietra che per poco non colpì in pieno l’occhio sano, rischiando di accecarlo. La famiglia Sabin si stabilisce a Paterson, nel New Jersey.
Un ricco parente dei Sabin si offrì di pagare gli studi in medicina al giovane Albert in modo che poi egli potesse andare a lavorare con lui nel suo studio di dentista: così a 20 anni era uno studente modello di odontoiatria alla New York University. Un giorno però Sabin lesse il libro “I cacciatori di microbi” (di Paul de Kruif), e ne rimase affascinato e decise che avrebbe dedicato la sua vita a quello. L’entusiasmo lo portò così a cambiare studi: passò alla facoltà di medicina (sempre a New York), frequentando con passione e successo i corsi di microbiologia. Intanto coltivava la sua passione anche al di fuori dell’università, raccogliendo microbi dovunque capitasse (stagni, polvere, cassonetti della spazzatura, …).
Nel 1931 concluse gli studi conseguendo la laurea in medicina: andò a lavorare presso l’università di Cincinnati, in Ohio, dove sarebbe rimasto 30 anni; dal 1946 venne nominato come capo della Ricerca Pediatrica. Qui, in qualità di assistente del dottor William Hallock Park (celebre per i suoi studi sul vaccino per la difterite), sviluppò ulteriormente il suo interesse per la ricerca medica, in modo particolare nel campo delle malattie infettive. Park divenne mentore del giovane e promettente Sabin, e gli trovò pure una borsa di studio quando il parente dentista si rifiutò di continuare a pagargli gli studi. I suoi studi sulle malattie infettive dell’infanzia lo portarono a fare ricerche su quelle provocate da virus e in particolare sulla poliomielite (o “polio”), che a quei tempi mieteva migliaia di vittime, in particolare su bambini a partire dal secondo anno di vita. La scelta di dedicarsi a questa patologia è comunque da attribuirsi al dottor Park, che, in seguito a un’epidemia di poliomielite a New York convinse il suo giovane microbiologo a riprendere le ricerche su quella malattia (che Sabin aveva già, anche se non approfonditamente, studiato in precedenza)
Grazie all’impegno di Sabis, ad oggi, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dichiarerà completamente sradicata da tutto il mondo la poliomielite. Eppure, non gli hanno mai dato il Nobel. Probabilmente perché ha rifiutato di brevettarlo, quindi il fatto di aver reso scontente delle case farmaceutiche deve aver reso scontenti i poteri, probabilmente lo avrà un po’ allontanato da questo Nobel che avrebbe dovuto essere automatico, perché se non lo vinceva lui chi avrebbe dovuto? Però si è preso quaranta lauree ad honoris causa e l’unico premio pecuniario che gli è stato dato è stato un premio italiano, il premio Feltrinelli. È stato l’unico momento in cui gli è stato riconosciuto un premio in denaro, qui in Italia.
Mentre Sara scriveva questo libro, ha avuto la fortuna di scoprire che in Italia esiste un figlio scientifico ancora in vita di Albert Sabin. Lo scopre da una serie di articoli che questo importantissimo medico ha scritto e decide di scrivergli un’email. Lo fa con la convinzione che questo ovviamente non avrebbe mai risposto perché tutti, abbiamo sempre l’idea che le persone importanti non abbiano mai tempo per le persone “comuni”. Invece il Dr. Giulio Tarro, candidato a due premi Nobel, risponde in tempo zero e oltre ad esser contento del progetto, si rende disponibile per qualsiasi cosa.
Il messaggio di Albert Sabin è la generosità. Ormai sembra una cosa quasi obsoleta essere generosi perché la generosità fa molto più bene a noi che agli altri cioè essere generosi è una cosa che arricchisce noi, poi ovviamente anche le persone con cui lo siamo, però è quasi un sentimento meravigliosamente egoistico.
Sicuramente essere una mamma poi ha addolcito molto la mia scrittura negli ultimi anni.
Negli ultimi tempi però, c’è una grande riscoperta di “ribellioni” vere, quelle che sono realmente accadute ma che non sempre vengono spiegate a scuola.
“Storie della buonanotte per bambine ribelli” ne è un esempio dato che racchiude le storie di molte donne a loro modo coraggiose ma, non è sicuramente l’unica pubblicazione. Anche “La ragazza dei fiori di vetro”, dove conosciamo Irena ed il suo coraggio e non possiamo dimenticarci di Nelly Bly, che si è fatta rinchiudere dieci giorni in un manicomio per capire veramente cosa succedeva all’interno di quelle strutture “sanitarie”.
Storie di persone che hanno dato molto ma che spesso, non ricordiamo o che cercano di farci studiare a scuola, senza però appassionare veramente.
In Italia non ci sono i fondi per la ricerca, e di conseguenza non ci sono posti di lavoro.
Paghiamo questa condizione con la “fuga di cervelli”, di persone che ricevono un’ottima preparazione a livello accademico ma che poi non hanno possibilità lavorative.
Il problema di fondo, credo, è che la nostra cultura è rivolta al passato, mentre oltreoceano sono quasi totalmente orientati al futuro. Loro forse sanno troppo poco di quando accaduto cent’anni fa, ma noi forse sappiamo fin troppo di quanto accaduto mille anni fa.
Dobbiamo prendere atto del fatto che molti di coloro che sono ragazzi ora si troveranno a svolgere professioni che ora non esistono. Pensiamo alla stessa realtà dei blog, o dei social media manager che ora sono figure aziendali importantissime.